Inseguendo il mito dello “short-termismo”, cambiano le regole di Borsa
Roma. In anni recenti è diventato un luogo comune che le società di capitali siano troppo concentrate sui risultati di breve periodo e per questo trascurano le strategie di lungo termine. La paura che il capitalismo finanziario sia miope per natura si nutre delle osservazioni di John Maynard Keynes (1883-1946). L’economista inglese riteneva che la maggiore parte degli investitori avesse soprattutto interesse a colpire rapidamente, prima degli altri, con acquisti o vendite, approfittando di informazioni sconosciute ai più. Nel corso degli anni, l’ideologizzazione del dibattito sull’istinto predatorio dei manager attenti solo alle trimestrali e ai corsi quotidiani di Borsa – e per questo accusati di avere una veduta corta, di breve termine, “short-term”, da qui “short-termismo” – si è rivelato un “mito finanziario”, come sostenuto nel 2015 da James Surowiecki del New Yorker e poi dall’Economist. “Certo, non mancano gli investitori miopi, ma la maggiore parte del mercato non lo è”, scriveva Surowiecki.
L’Accademia dibatte sul punto e la politica ha agio nell’additare i rapaci “speculatori”. Hillary Clinton, candidato del Partito democratico alla presidenza degli Stati Uniti, vuole porre fine alla “tirannia” del “short-termismo” incentivando il possesso prolungato di azioni a fronte della riduzione degli oneri fiscali. Mossa dalla volontà di “ridurre la pressione di breve termine e incentivare un approccio di lungo periodo”, la Commissione europea discute dagli anni Novanta e, a partire dal 2006, ha emanato la direttiva, detta “transparency”, per uniformare gli obblighi degli emittenti operanti sui mercati regolamentati dei 28 stati membri. L’Expert group of the european securities committee (Egesc) ha collaborato con pareri legislativi, seguendo le indicazioni di venti esperti del settore privato di altrettanti stati membri (tra cui Carmine di Noia, vicedirettore generale di Assonime, e designato dal governo per affiancare il commissario della Consob).
La direttiva europea è stata recepita dall’ordinamento italiano il 10 febbraio 2016 dal Consiglio dei ministri – è noto lo schema di decreto legislativo, prossima la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale – e riguarda circa 270 società quotate in Borsa, sebbene Consob potrà riservarsi di limitare il perimetro delle aziende interessate in base alle dimensioni.
[**Video_box_2**]La soglia di comunicazione delle partecipazioni rilevanti, costruite anche con strumenti sofisticati (come opzioni e futures), sale dal 2 al 3 per cento per le grandi società e si avvicina agli standard di Regno Unito, Stati Uniti, Spagna, Olanda, Francia e Germania dove la soglia è il 5 per cento. Per le piccole e medie società, con capitalizzazione di mercato inferiore ai 500 milioni di euro e 300 milioni di fatturato, la soglia oltre la quale gli azionisti devono uscire allo scoperto è al 5 per cento. La ratio è uniformare la regolamentazione e incentivare l’ingresso di fondi d’investimento, sotto lo slogan della “trasparenza”. Significativa, ai fini dell’inseguimento del mito del “short-termismo”, è l’abrogazione della pubblicazione del risultato medio di gestione, la versione light del bilancio trimestrale, per le società quotate. L’intento è di incentivare lo sbarco in Borsa delle Pmi sia liberando le aziende dall’onore di elaborare i conti, in realtà dai costi contenuti, sia soprattutto per proteggerle da eventuali aggressioni del mercato che potrebbe reagire con picchi di volatilità a risultati influenzati, ad esempio, da fattori stagionali. Consob, previa consultazione con gli operatori, deciderà probabilmente entro l’estate il perimetro delle società interessate: ovvero se conservare l’obbligo alla pubblicazione del resoconto per tutti o soltanto per le grandi aziende e per banche e assicurazioni. La Spagna, per esempio, ha adottato la direttiva ma poi ha detto a tutti gli operatori di presentare comunque il resoconto. Gli altri paesi no. Se la mossa del governo invoglierà le imprese a quotarsi è esercizio da aruspici: il decreto legislativo non s’avventura in valutazioni. Non è peregrino tuttavia, a detta di alcuni esperti coperti da anonimato, ritenere che il contesto di alta incertezza sui mercati finanziari di inizio 2016, che probabilmente proseguirà nei prossimi mesi, non è ideale per incoraggiare le società a celare delle informazioni significative al mercato. Meglio un po’ rapaci che accecati, forse.