La libertà e la moralità del mercato. Rileggere Röpke a cinquant'anni dalla scomparsa
Il contributo di Wilhelm Röpke alla riflessione liberale è stato certo di primissimo livello. Per questo è da apprezzare la decisione di IBL Libri di pubblicare venerdì, in occasione del cinquantesimo anniversario della morte, una piccola antologia dal titolo Etica cristiana e libertà economica.
Socialista in gioventù e poi allontanatosi da ogni collettivismo, Röpke ha avuto vari meriti, tra cui quello di aver compreso la fondamentale lezione misesiana in tema di prezzi di mercato, riuscendo poi a influenzare positivamente alcuni tra i protagonisti della vita politica tedesca all’indomani del nazismo e delle distruzioni della seconda guerra mondiale: un nome per tutti, Ludwig Erhard.
Fu un tenace avversario delle politiche inflazionistiche, del dirigismo, di ogni forma di assistenzialismo e ridistribuzione. Abbandonata la Germania quando Hitler era al potere, dopo un periodo di permanenza in Turchia egli giunse in Svizzera (a Ginevra), che adottò quale propria patria spirituale. Vivere nella federazione elvetica l’aiutò pure a comprendere come governi locali, vicini ai cittadini, responsabilizzati e in concorrenza offrano un contesto assai più favorevole alla libertà individuale e al buongoverno.
In alcun modo egli può essere considerato un liberale tiepido, come qualche interprete ha voluto far credere, e anzi si schierò sempre in maniera molto netta a favore del libero mercato. Ma certo egli è stato assai critico nei riguardi di quei liberali influenzati dal positivismo e quindi portati a disconoscere la natura morale del liberalismo. Ai suoi occhi, invece, la difesa dell’individuo dal Potere era tutt’uno con la salvaguardia della tradizione occidentale, così come è stata forgiata dall’incontro tra la filosofia greca e la rivelazione cristiana.
Il testo include tre scritti dei primi anni Sessanta, che in Italia erano già apparsi sul periodico liberale “La Tribuna”. Nel primo (“Il Vangelo non è socialista”) emerge come Röpke non abbia mai pensato a una soluzione intermedia tra mercato e dirigismo, ma fosse invece fautore di un liberalismo capace di contestare – al tempo stesso – sia l’economicismo senza princìpi di tanti scienziati sociali, sia il moralismo dilettantistico di chi non conosce le leggi dell’economia. Per tale motivo egli criticò aspramente – ad esempio – “quello strano tipo di La Pira a Firenze che, in qualità di sindaco della città, credette di agire con Dio solo sa quale benemerenza costringendo imprese non più redditizie a continuare la loro attività, condannandole alla completa rovina”.
Ne “La necessità morale della libertà economica” egli enfatizza proprio sulla connessione tra gli studi economici e la filosofia morale. Non è quindi ammissibile un economicismo senza valori, ma neppure un ingenuo perseguire obiettivi anche nobili che si dimentichi di commisurare i mezzi e i fini.
Per giunta, egli fu un protestante che mostrò un deciso apprezzamento e rispetto per il cattolicesimo. Questo si vede assai bene nel terzo testo, il commento all’enciclica Mater et Magistra, di cui valorizzò i giudizi equilibrati su questioni ancora oggi molto vive, specie in virtù di un pontificato (quello di Francesco) che sembra sposare molti argomenti della cultura politica più avversa alla filosofia della libertà.
Secondo Röpke i cristiani devono difendere la libertà e quindi capire l’importanza di istituzioni come il mercato, la proprietà, il contratto; a loro volta, però, i liberali non possono pensare che il liberalismo sia emerso dal nulla, perché – in modo implicito o esplicito – esso poggia in larga misura su un legato di principi che viene direttamente dalla tradizione cristiana. Senza una particolare idea dell’altro, difficilmente sarebbe potuto emergere quel liberalismo che José Ortega y Gasset arrivò a definire, non a caso, come la “suprema generosità”.