La battaglia di Scalia per "un ethos costituzionale della libertà economica"

Marco Valerio Lo Prete
Un intervento del 1985 del giudice italoamericano scomparso sabato scorso. “Il compito di creare ciò che chiamerei un ethos costituzionale della libertà economica non è semplice. Ma è il primo obiettivo da porsi”.

Come ogni lunedì, oggi è andata in onda "Oikonomia", la mia rubrica su Radio Radicale. Qui potete trovare l'audio, di seguito invece il testo con i link.

 

Sabato scorso, all’età di 79 anni, è scomparso Antonin Scalia, giudice della Corte suprema americana dal 1986. Nominato dal presidente repubblicano Ronald Reagan, l’italo-americano Scalia è stato definito da Ross Douthat, sul New York Times, come “il più importante giudice della Corte suprema della sua èra”. Compiendo una piccola deviazione rispetto ai consueti argomenti trattati in questa rubrica, tenterò di dimostrare brevemente che Scalia ha dato un contributo importante – perlomeno dal punto di vista teorico – all’analisi del nesso tra economia e diritto.

 

Per farlo, mi riferisco a un intervento tenuto dal giudice appena scomparso durante una conferenza del pensatoio libertario Cato Institute nel 1985. Scalia critica innanzitutto la convinzione secondo la quale “le libertà e i diritti economici sono qualitativamente distinti, oltre che fondamentalmente inferiori, rispetto ad altri nobili valori umani chiamati diritti civili, rispetto ai quali dovremmo essere più generosi. A meno che uno non sia un inflessibile materialista, questa visione ha il suo fascino. Certamente la libertà di disporre come meglio si crede della propria proprietà, per esempio, non è un’aspirazione altrettanto elevata che la libertà di pensare, scrivere o venerare ciò che la coscienza impone. Tuttavia, a un’analisi più approfondita, mi pare che la differenza tra le libertà economiche e quelli che solitamente sono chiamati diritti civili sia una differenza di gradazione e non di contenuto”. In ogni caso, continua Scalia, “nel mondo reale una netta dicotomia tra libertà economiche e diritti civili non esiste. Le libertà umane di vario tipo sono dipendenti l’una dall’altra, ed è plausibile che la più umile fra loro sia indispensabile alle altre (…). Non conosco società, oggi o in qualsiasi èra della storia, in cui la libertà intellettuale e politica siano fiorite ad alti livelli e contemporaneamente esistesse un alto grado di controllo statale sulla vita economica dei cittadini. Il libero mercato, che presuppone una libertà economica relativamente ampia, è stato storicamente la culla della libertà politica ampiamente intesa, e nei tempi moderni la fine della libertà economica è stata anche la tomba di quella politica. Lo stesso fenomeno si può osservare sulla scala più piccola della nostra vita privata – sostenne Scalia a un anno dalla sua nomina – In concreto, chi controlla il mio destino economico controlla allo stesso tempo una parte più ampia della mia vita. La maggior parte dei professionisti che lavorano come dipendenti non si considera ‘libera’ di andare in giro indossando sandali e giacca Nehru, o di scrivere lettere al New York Times su ogni tema che gli passa per la testa”.

 

L’analisi di Scalia, nel 1985, si concentrava poi sul rapporto tra economia e potere giudiziario. Egli rispondeva alle critiche di coloro secondo i quali “la protezione delle corti federali americane si erge soltanto o soprattutto rispetto al ramo esecutivo del potere e non rispetto al Congresso. Noi garantiremo che il potere esecutivo non imponga nessuna restrizione all’attività economica che non sia stata autorizzata dal Congresso; e che nel caso le restrizioni siano autorizzate, l’esecutivo segua le procedure prescritte dalla Costituzione e non solo. Ma non decreteremo mai che la sostanza di una restrizione autorizzata dal Congresso sia illegale”. Come rispondere a coloro che invece chiedevano di invertire questa tendenza quando si trattava di giudicare in materie economiche? Come resistere a chi chiedeva di affiancare cioè al concetto di procedural due process (quindi la garanzia di un processo giusto dal punto di vista delle regole processuali) anche quello di substantive due process (una concezione sostanziale e non solo procedurale dei concetti di libertà e proprietà)?

 

Scalia replicò ricordando sì l’importanza dei diritti economici, ma ribadendo il suo “scetticismo” di fronte a chi invocava un maggiore interventismo dei giudici, scetticismo dovuto a due ragioni: l’imprevedibilità degli effetti di “tale espansione sul comportamento delle corti in aree diverse e separate da quella della libertà economica”; in secondo luogo, i dubbi sulle “capacità delle corti di limitare il proprio potere costituzionalizzante soltanto a quegli elementi della libertà economica che siano ragionevoli”.

 

Il giudice prese di petto anche quei conservatori che auspicavano un maggiore interventismo delle corti sui diritti economici, gli stessi che criticavano i giudici quando questi ultimi di fatto si comportavano da “legislatori alternativi”: “I conservatori devono scegliere cosa credere davvero, se pensano che le corti stiano facendo troppo o se stanno solo lamentandosi – in maniera poco fondata sui princìpi – che le corti non agiscono come loro vorrebbero”.

 

[**Video_box_2**]In definitiva, secondo Scalia, la battaglia per la libertà economica doveva essere culturale e politica, prima che giudiziaria. “Non sto dicendo che la costituzionalizzazione (dei diritti e delle libertà, ndr) non abbia effetti nell’aiutare una società a preservare la propria fedeltà ai princìpi fondamentali. Ma la fedeltà viene prima e la preservazione arriva dopo”. Conclusione del giudice italo americano scomparso la settimana scorsa: “Il compito di creare ciò che chiamerei un ethos costituzionale della libertà economica non è semplice. Ma è il primo obiettivo da porsi”. 

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