La contesa degli industriali
Regina immagina una Confindustria in cui Marchionne resterebbe
Roma. Aurelio Regina, 52 anni, è uno dei quattro autocandidati a diventare il 24esimo presidente di Confindustria dopo Giorgio Squinzi. Regina, già presidente di Unindustria Roma e Lazio, aveva anticipato la sua candidatura a questo giornale a ottobre. Per il Foglio, chiunque sarà eletto leader a maggio avrà un’agenda obbligata: dare un colpo di frusta come quello dato anni fa dalla Fiat di Sergio Marchionne, che però dovette uscire dalla Confindustria per innovare le relazioni industriali. Concorda, Regina? “Penso che la ‘rivoluzione Marchionne’ fosse possibile anche stando nell’associazione. Infatti oggi abbiamo federazioni che presentano delle piattaforme contrattuali più innovative di quelle Fiat e singoli accordi integrativi più avanzati. Con molto rispetto per le scelte altrui, molte volte non serve uscire per ottenere dei risultati al passo con i tempi. Dico che se si ha una visione più ampia – Marchionne ha indubbiamente mostrato di averne dando un contributo culturale al dibattito, cosa che tra l’altro deve essere un dovere morale di ogni grande impresa che lavora nel nostro paese – si ha pure la responsabilità di tirare dentro tutti”.
Nel 2011 la Confindustria di Emma Marcegaglia non era incline a essere “tirata dentro” nel sostenere la prevalenza dei contratti aziendali rispetto a quello nazionale mentre Fiat era demonizzata dai media filo-Fiom. “La posizione aprì all’epoca un dibattito molto acceso che successivamente prese una direzione di condivisione già agli inizi della presidenza Squinzi. In un anno era cambiato molto, il contributo della Fiat nell’accelerare il dibattito sarebbe stato ancora più importante rimanendo in associazione”.
Il prossimo presidente avrà davanti, più dei predecessori, turbolenze economiche complesse: il tempo delle chiacchiere è finito. “La velocità di cambiamento del contesto richiede flessibilità nella gestione aziendale molto superiori rispetto al passato. Le opinioni nell’associazione risentono di sensibilità diverse: c’è per esempio l’impresa che è più attenta al costo del lavoro, altre al costo delle materie prime. Il tema di fondo è che la competitività delle imprese è accentuata dal differenziale con Germania e Francia in termini di produttività misurata dal costo del lavoro per unità di prodotto. Il divario è cresciuto in questi anni. Per spezzare l’inerzia bisogna costruire un legame stretto tra salario e produttività. Con questo obiettivo le aziende dovranno muoversi gestendo secondo esigenze la flessibilità con un ruolo importante della contrattazione di secondo livello, per la parte economica in sostituzione del contratto nazionale, mantenendo la centralità della contrattazione collettiva nazionale come cornice normativa. Alla luce della rapidità dei cambiamenti di scenario economico, la stessa componente economica dei contratti potrebbe essere negoziata annualmente in azienda”. Ovvero? “Siccome la componente ‘costo del lavoro’ è variabile fondamentale dei budget annuali, si potrebbe pensare di rinegoziare i salari a ogni esercizio. Significa collegare salario, produttività, e performance dell’azienda per seguire il cambiamento del contesto”. Confindustria ha responsabilità se le aziende associate si adattano? “Il fatto che siano ancora pochi [a seguire la contrattazione di secondo livello] è dovuto tra l’altro alle dimensioni aziendali. Anche le associazioni industriali dovranno adeguarsi in termini di assistenza alle imprese. Dobbiamo trasformare le nostre territoriali in macchine capaci di interpretare i piani aziendali in modo proattivo. Non solo affiancare le imprese nei contenziosi o nei rinnovi contrattuali: occorre accompagnare le aziende nelle trattative sindacali con progetti su misura”.
“Dobbiamo prepararci a seguire soprattutto le Pmi che hanno bisogno di sostegno maggiore data la loro dimensione”, sostiene uno dei quattro candidati alla presidenza di Confindustria parlando col Foglio. Regina porta a modello la Manifatture Sigaro Toscano di cui è presidente e azionista. Sigaro Toscano è stata rilevata da Aurelio Regina nel 2006 insieme al Gruppo Maccaferri di Gaetano Maccaferri, big confindustriale, dalla British American Tobacco Italia, fattura 100 milioni di euro e impiega quasi 500 persone nel mondo. “In dieci anni abbiamo cambiato i modelli di processo, raddoppiando i pezzi prodotti a parità di personale e l’azienda, che produceva una piccola marginalità, ha ora un margine operativo lordo del 30 per cento”.
Cosa le dice che il “modello Sigaro” non venga rigettato, al pari del “modello Fiat”, da una Confindustria che negli anni non mostrato rapida capacità di reazione nell’attesa di accordi concertati con i sindacati dei lavoratori? “Non credo che si corra questo rischio. La nostra è un’organizzazione molto prestigiosa che discute molto, in alcuni momenti discute anche troppo ma credo che debba migliorare nella fase dell’esecuzione. C’è bisogno di una persona che abbia il più possibile una visione molto concreta dei problemi facendo un’autorevole sintesi di tutte le posizioni che animano la nostra associazione”.
[**Video_box_2**]Una delle “anime” che dovrebbe prevalere nella corsa alla presidenza, secondo l’identikit del presidente uscente Squinzi, è quella manifatturiera. Ci si ritrova? “Guardi, francamente dico anche a coloro i quali auspicano un metalmeccanico alla presidenza che la piattaforma innovativa di Federmeccanica è molto più facilmente sostenibile da un imprenditore non metalmeccanico perché ha un approccio, mi lasci passare un termine improprio, meno partigiano. Comunque quello che sostengo con molta chiarezza che l’importante è certamente il presidente ma lo è ancora di più la squadra che saprà formare. Il presidente deve essere un primus inter pares”.
E’ possibile parlare di “politica industriale” in un paese dove i veti della vox populi – il caso del referedum sulle perforazioni petrolifere in mare – e le ingerenze giudiziarie abbondano? “La formula ‘politica industriale’ è vecchia. Dobbiamo rimettere l’impresa al centro del sistema paese, dobbiamo dargli tutti gli strumenti per essere più competitiva nel contesto globale e dobbiamo essere capaci di integrare in maniera concreta industria manufatturiera e industria dei servizi attraverso un’innovazione dei processi produttivi. Il sistema paese – aggiunge Regina – va assolutamente modernizzato e bisogna immediatamente intervenire su due punti importanti: uno è un sistema giudiziario più rapido ed efficiente. Il secondo problema è la burocrazia che deve agevolare il più possibile gli investimenti produttivi, mi riferisco anche alla produzione di energia. Il petrolio basso non durerà per sempre, se non agiamo, subìremo presto le nostre inefficienze strutturali”.
“In passato – conclude Regina – si diceva che il bene della Fiat è il bene del paese. Io dico che il bene del paese è il bene delle imprese. Quindi le imprese si troveranno in un paese più moderno, più equo e più predisposto alla crescita complessiva delle aziende stesse”. Dunque nella Confindustria che immagina di guidare Marchionne tornerebbe volentieri. “Me lo auguro: farebbe bene all’associazione e al paese per quello che la Fiat, culturalmente ed economicamente, ha rappresentato e ancora rappresenta in Italia”.