La riforma Renzi delle Bcc è efficace perché tutela mercato e cooperazione

Nicola Rossi
Il credito cooperativo tra spettri di finanziarizzazione e favor fiscale. Il caso dello scorporo da parte della Bcc dell’azienda bancaria che verrebbe poi capitalizzata con il patrimonio della Cooperativa scorporante. Un appunto alle tesi del senatore Mucchetti

Che il sistema del credito cooperativo avesse bisogno di essere consolidato per poter meglio perseguire le sue finalità istituzionali è cosa che nessun osservatore contesta. Valga per tutti il riferimento al senatore Mucchetti (“Appunti e critiche per correggere la riforma del credito cooperativo”) che segnala peraltro, con la consueta puntualità, i limiti – veri o presunti – della soluzione che  il decreto governativo ha dato al tema della cosiddetta way out (e cioè al problema che si porrebbe qualora alcune Bcc non intendessero aderire al gruppo o ai gruppi bancari cooperativi che si andassero a formare). Si potrebbe osservare che il decreto presenta limiti forse potenzialmente più rilevanti di quello citato (per far solo un esempio, a una prima lettura sembrerebbe non essere prevista la possibilità di recesso dal gruppo bancario cooperativo), ma ciò non toglie che per vari motivi la discussione sulla way out merita di essere presa molto sul serio. Tralasciando del tutto le argomentazioni di carattere più schiettamente politico (per le quali dichiaro fin d’ora la mia incompetenza) credo che alcune delle osservazioni del sen. Mucchetti siano condivisibili se riferite al caso – non escluso dal testo del decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale – di pura e semplice trasformazione di una Bcc in SpA, con contestuale “affrancamento delle riserve” attraverso il versamento del 20 per cento delle stesse all’erario. E’ difficile negare che in questo caso, l’affrancamento delle riserve indivisibili potrebbe finire per tradursi in un indebito arricchimento privato.

 

Del tutto diverso è invece il caso, esplicitamente menzionato nel decreto e ricordato dal sen. Mucchetti, dello scorporo da parte della Bcc dell’azienda bancaria che verrebbe poi capitalizzata con il patrimonio della Cooperativa scorporante. In questo caso infatti, come lo stesso sen. Mucchetti riconosce, la riserva resterebbe nella Cooperativa scorporante e manterrebbe la sua caratteristica di indivisibilità. Osserva il sen. Mucchetti che essa verrebbe però investita in una attività bancaria a fini di lucro, con ciò esponendo la soluzione a dubbi di costituzionalità. Aggiunge il sen. Mucchetti che la Cooperativa scorporante si ridurrebbe così a “mera holding” a cui sarebbe improprio accordare il favor fiscale tipico delle attività mutualistiche. Le due osservazioni sembrano poco fondate. Già oggi molte Bcc investono il loro patrimonio in SpA a fini di lucro (il caso più eclatante essendo Iccrea Holding SpA che non risulta essere una onlus) e lo saranno ancor più domani detenendo le quote di partecipazione al capitale della holding del gruppo bancario cooperativo (che anch’essa, ai sensi del decreto, non risulta essere una onlus). Ancor meno fondata è la seconda osservazione. Basta visitare in rete i siti di alcune delle Bcc che starebbero valutando costi e benefici della way out per capire che la Cooperativa scorporante, dopo l’eventuale scorporo, si occuperebbe di sanità, di coesione locale, di cultura. Difficile identificare tutto ciò con una holding finanziaria. Capisco che per chi si è occupato a lungo, e con grande competenza, di grandi società di capitale queste possano essere piccole cose ma penso non sia retorica affermare che per molti cooperatori sono una parte importante della vita e non solo di quella lavorativa.

 

Il sen. Mucchetti osserva che l’imposta straordinaria sulle riserve si tradurrebbe in un serio indebolimento delle Bcc che scegliessero la way out tanto da imporre alla Cooperativa scorporante, prima o poi, la dismissione dell’Azienda bancaria. Anche questa osservazione appare poco fondata o comunque meritevole di importanti qualificazioni. In primo luogo, sgombriamo il campo da un equivoco presente anche nelle argomentazioni del sen. Mucchetti: è facile dimostrare che il favor fiscale corrisponde per le Bcc a una detassazione vicina ai 18 punti percentuali della base imponibile (e non già ai 30 e più, come sostenuto). Tenendo conto dei tempi di formazione delle riserve per le Bcc interessate, si può concludere che l’aliquota fissata dal decreto (20 per cento) rappresenti una soluzione più che ragionevole e tutt’altro che di favore (anche alla luce del fatto che, come si è visto, non di “affrancamento delle riserve” stiamo parlando ma di semplice ristabilimento di condizioni di parità sul mercato). In secondo luogo, si dimentica spesso che il requisito di patrimonio fissato dal decreto è condizione necessaria ma non sufficiente per l’opting out: starà all’Autorità di vigilanza accertarsi che il piano industriale della Bcc che non intende aderire al gruppo bancario offra tutte le indispensabili garanzie.  In terzo luogo, non è difficile supporre che potrebbe essere il mercato a offrire alle Aziende scorporate le risorse per affrontare adeguatamente la sfida. Per quanto ciò sia difficile da immaginare per alcuni, non c’è nulla che crei valore come la libertà.

 

[**Video_box_2**]Infine, per quanto non starebbe a me segnalarlo, mi permetto di osservare che alcune delle Bcc storicamente non aderenti a Federcasse hanno sottoposto per tempo alle Autorità competenti – e alla stessa Federcasse – le loro opinioni e le loro proposte. Per quanto si stia parlando di poche realtà all’interno del mondo del credito cooperativo, è difficile pensare che quelle opinioni e quelle proposte non siano state oggetto – com’era doveroso che fosse – di una qualche approfondita valutazione da parte delle Istituzioni competenti.

 

“Una way out andrà probabilmente cercata”, conclude il sen. Mucchetti. Non c’è bisogno di andare molto lontano: la way out ragionevole è già all’interno del decreto. Basterà, se del caso, definirla con ancora maggiore nettezza, con la collaborazione di tutti gli attori della vicenda.

 

Ultimo, ma non meno importante: la conclusione del sen. Mucchetti (“Una way out andrà probabilmente cercata”) segnala, senza infingimenti, quale sia la gerarchia di valori che sta dietro le sue argomentazioni, attribuendo alla libertà di impresa un valore residuale. E’ una valutazione legittima (anche se, come l’Italia dimostra, non porta molto lontano). Personalmente penso che una riforma efficace del sistema del credito cooperativo sia possibile se e solo se alla libertà di impresa, alla tutela del risparmio e ai valori della cooperazione viene attribuita la medesima rilevanza. Mi sembra che sia stata questa la scelta del governo e mi auguro vivamente che sia questa anche la convinzione del Parlamento.

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