Amico Jean-Claude
Roma. “E’ andato tutto bene”, ha rassicurato subito Jean-Claude Juncker dopo l’incontro di venerdì con Matteo Renzi, precisando che “mi piace molto stare a Bruxelles, ma a Roma mi sento meglio”. Dunque, come prevedibile, ha funzionato il “Position paper” pubblicato lunedì 22 dal ministero dell’Economia, con ampi riconoscimenti alla Commissione nel ruolo di artefice e arbitra del “giusto mix” di politiche tro flessibilità, crescita e consolidamento fiscale, e per i “risultati davvero significativi” sull’Unione bancaria, cui pure manca l’assicurazione unica europea sui depositi; l’architrave. Juncker – in visita ufficiale con tutti gli onori, ricevuto anche da Sergio Mattarella e Giorgio Napolitano (non casuale: l’ex capo dello stato era divenuto suo malgrado riferimento del partito del vincolo esterno che vuole Renzi commissariato dalle cancellerie) – ha definito le nove cartelle limate da Pier Carlo Padoan “una benedizione per chi crede nell’Europa” notando che “molto raramente mi sono visto proporre riflessioni di questo livello”. Renzi gli ha restituito l’onore offeso attribuendogli il merito di avere introdotto la flessibilità “con la comunicazione del 13 gennaio 2015”, che l’Italia sfrutterà riducendo però il debito. Soprattutto appoggia incondizionatamente Juncker nella battaglia contro l’est europeo sui rifugiati, dossier oggi in cima alle priorità. L’ex simbolo della eurocrazia dice che Roma “giustamente” utilizza l’elasticità sul bilancio, fa capire che essa non è una tantum se il debito scende sul serio, definisce “esemplare” la condotta italiana sui migranti. Insomma, è politica bellezze. Il resto – compresi due decimali di flessibilità in ballo – è materia per gli sherpa. Non è ancora chiuso il fronte con la Germania, benché sia fin troppo chiaro che Juncker è un modo per ricucire con Angela Merkel. Ma nell’agenda di Renzi tutto questo appare sempre più un passaggio per consolidarsi a Palazzo Chigi, anche via elezioni anticipate nel 2017.
Oltre che fare perno sul lavoro di Padoan, e sulle leve internazionali del ministro migliori di quelle dei Monti e dei Letta jr. (l’Ocse ha messo Italia e Spagna al primo posto per riforme realizzate, “meglio dell’Europa del nord”, pur chiedendo altri sforzi su lavoro, scuola e taglio delle tasse), il premier tiene d’occhio alcune impressionanti evidenze sia interne sia estere. E cioè: dal 1994 nessun governo italiano è mai stato confermato. Né il centrodestra berlusconiano degli anni migliori, né il centrosinistra prodiano. Per non parlare dell’esperienza tecnica di Mario Monti, degli esperimenti civico-grillini e bersaniani, dei cacciavite lettiani. Ma anche osservando la mappa europea, dall’avvento della crisi solo i popolari della Merkel e i conservatori di David Cameron hanno vinto il test elettorale. Non la Spagna allieva modello di ricette merkeliane; e anche in Irlanda, uscita meglio di tutti dalla recessione, con un pil pro capite che ha superato quello degli inglesi – il voto di venerdì (stando almeno ai sondaggi) non garantirebbe il successo pieno del premier uscente Enda Kenny. Tralasciando Portogallo e Grecia, e naturalmente la Francia dove non solo i leader uscenti vengono sconfitti ma quelli nuovi precipitano subito nei consensi, perfino Olanda, Finlandia, Danimarca e Belgio, tutti paesi a tripla e doppia A, hanno cambiato guida politica, e quella che ne è uscita è frutto di traballanti coalizioni.
[**Video_box_2**]In questo panorama, il referendum confermativo del taglio del Senato, voluto da Renzi per ottobre e da lui trasformato in un pronunciamento definitivo su se stesso, può costituire un grande azzardo, ma assai calcolato. Se vincerà, e con il premio della nuova legge elettorale, la via della riconferma con il botto è garantita. E a quel punto Renzi rappresenterà un’assoluta novità di potere in Italia, e in Europa qualcosa di più di un premier sempre a caccia di flessibilità.