Draghi guida le danze
La notizia di una nuova Apocalisse economica è fortemente esagerata
Roma. Oggi la Banca centrale europea dovrà superare se stessa per convincere i mercati. Un implacabile grafico di Bloomberg mostra che l’indice Euro Stoxx 50 ha perso il 21 per cento dallo scorso aprile, quando è cominciato il Quantitative easing. E la situazione è peggiorata da dicembre quando Draghi ha parlato, ma non ha agito. Una delle preoccupazioni maggiori riguarda l’Italia e i suoi npl (non performing loans). La Banca d’Italia informa che a gennaio le sofferenze hanno superato la cifra record di 202 miliardi e le banche hanno ridotto il credito soprattutto alle imprese. Insomma, siamo già coperti da nubi gonfie di tempesta. E se non fosse così? Se gli allarmi fossero eccessivi? Non è Pangloss a dirlo, ma un panel di super-economisti per conto del Peterson Institute for International Economics di Washington, a cominciare dal suo presidente Adam Posen.
Il punto di partenza del rapporto, intitolato “Reality check for the global economy”, è che “dopo cinque anni di ripresa deludente tutti sono pronti a credere al peggio. E i mercati globali hanno mostrato i frutti di questo pessimismo”. Facendo un bagno di realtà, invece, scopriamo aspetti finora trascurati. I mercati finanziari oggi sono meno capaci di interpretare l’economia reale, quindi reagiscono in modo eccessivo a ogni stormir di fronde, spiega Posen. Prendiamo l’economia americana: certo, va avanti a passo più lento rispetto a quel che era avvenuto nelle precedenti riprese, tuttavia cresce ormai da sei anni, ha dimezzato il tasso di disoccupazione, ha generato nuove innovazioni, veri e propri salti tecnologici, basti pensare alla shale revolution che sta rendendo gli Stati Uniti autosufficienti sul piano energetico. Nonostante i foschi vaticini, una recessione oggi è poco probabile, secondo David Stockton. Non solo, il declino del prezzo del petrolio è destinato a dare un nuovo impulso alla ripresa. Tutti i settori industriali non petroliferi registreranno quest’anno aumenti dei profitti e caduta dei costi. E’ vero, gli effetti si sono fatti sentire in ritardo, c’è anche qui una lentezza non usuale, sostiene Blanchard, ma gli effetti sono garantiti. Quanto all’Italia, per Nicolas Véron è eccessivo dire che la debolezza delle sue banche sia una bomba a orologeria per l’intera Eurozona. E ancora: la Cina, il Brasile, il commercio internazionale, stanno passando a una nuova fase. Attraversare il guado non è semplice e nessuno sa quanto durerà, però bisogna guardare ai fondamentali. L’economia cinese entra nell’èra del terziario, ciò rallenta la crescita, ma la rende più sostenibile. L’America latina deve emanciparsi dal ciclo delle materie prime. Gli stessi scambi di merci e servizi riflettono un aggiustamento di medio periodo dopo la tumultuosa globalizzazione che ha cambiato l’intera catena di montaggio mondiale.
Il Peterson Institute, insomma, getta uno sguardo oltre la congiuntura e accende i suoi riflettori sul medio periodo. I mercati finanziari, già inclini allo sguardo breve, durante la crisi hanno accentuato la loro miopia. Sarebbe saggio non farsi turbare più di tanto. Ma i professori parlano bene, quando poi devono agire, come Posen alla Banca d’Inghilterra o Blanchard al Fondo monetario, vengono anche loro colpiti dalla sindrome del breve periodo.
Che cosa dovrebbe fare, per esempio, Mario Draghi? Se seguisse le indicazioni che arrivano dalla Germania (cioè guardare e aspettare), probabilmente provocherebbe un’ulteriore fuga di capitali dall’Eurozona (circa 8 miliardi sono usciti nel mese terminato il 2 marzo). Le tensioni sui debiti sovrani potrebbero far scoppiare una nuova guerra degli spread e la ripresa ne soffrirebbe. I mercati sono nevrotici, è vero, tuttavia è meglio ascoltare loro che la Bundesbank, almeno finché non sarà sconfitta la deflazione e non scenderanno in modo netto i disoccupati.