L'iper-regolamentazione finanziaria inquieta Draghi e le banche
Roma. Anche nella Banca centrale europea qualcuno perde la pazienza per l’applicazione dirigista e restrittiva dei parametri patrimoniali sulle banche. Quel qualcuno si chiama addirittura Mario Draghi, e bersaglio delle critiche – espresse in maniera “criptica e indiretta” secondo il Corriere della Sera – parrebbe Daniele Nouy, presidente del Consiglio unico di sorveglianza bancaria, organo della Bce ma distinto e sovrano rispetto al capo dell’Eurotower. Non è tutto. La Deutsche Bank, da settimane nel mirino dei mercati (a febbraio le azioni hanno toccato il minimo storico), accusa il governo di Berlino di aver gestito male le nuove regole sui salvataggi entrate in vigore con il 2016. In un’intervista con il quotidiano conservatore-liberista Frankfurter Allgemeine Zeitung i due ceo John Cryan (inglese) e Jürgen Fitschen (tedesco) affermano che l’esecutivo ha sbagliato ad adottare le nuove norme sulle responsabilità di azionisti e obbligazionisti in caso di difficoltà delle banche, introducendo le direttive europee nelle leggi federali.
E dire che in difesa di Deutsche Bank era sceso nel momento di massimo stress borsistico il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble. Basta? No, perché la direttiva Basilea 3, quella che determina i nuovi standard di solidità bancaria, ha il pendant in Solvency 2 che riguarda invece le assicurazioni, entrata egualmente in vigore a gennaio di quest’anno. “I sistemi finanziari scricchiolano sotto la pressione regolatoria”, scrive il Financial Times raccontando come gli assicuratori, a causa di Solvency 2, “siano chiamati a sostenere calcoli complessi per diversificare le loro attività in base ai capitali destinati alla copertura di beni e settori”. Neppure gli algoritmi computerizzati sembrano essere più sufficienti: “Le aziende inglesi ed europee hanno speso milioni di euro per aggiornare i sistemi informatici, ma non basta a stare dietro alle nuove e continue richieste dei regolatori”. Il nuovo fronte non fa trascurare quello più ampio delle banche e della Bce. Presentando giovedì scorso il nuovo Quantitative easing (allentamento monetario), Mario Draghi ha speso alcune criptiche parole sulle regole di vigilanza che sono sfuggite ai più: “Voglio indirizzare la vostra attenzione a una comunicazione della Commissione di questa mattina, che chiarifica la natura dei requisiti del secondo pilastro”. Traduzione: il secondo pilastro è il capitale aggiuntivo che può essere chiesto a singole banche se affrontano particolari rischi.
Influisce su bonus, dividendi e sul pagamento delle cedole di obbligazioni convertibili; il mese scorso sembrava che il pilastro si abbattesse su Deutsche Bank e Unicredit, alle prese con la scadenza di bond, facendo crollare in Borsa i rispettivi titoli. E’ singolare che Draghi utilizzi la sponda della Commissione, organo politico, per tranquillizzare su ciò che fa la vigilanza della Bce. Ma non è la prima volta che invade il campo della Nouy: il 15 febbraio aveva annunciato “non ci sarà una Basilea 4, le banche sono solide”. In attesa che le Autorità regolatorie si chiariscano tra loro, Bank of America-Merril Lynch prova a capire chi beneficerà di uno degli aspetti più innovativi del Qe 2.0: l’acquisto, oltre che di titoli di stato, anche di obbligazioni aziendali “con grado di investimento”. Secondo il dossier non sarà l’Italia la terra eletta, contrariamente all’allarme diffuso in Germania: i bond aziendali italiani potenzialmente acquistabili dalla Bce ammonterebbero a 69 miliardi, contro i 209 francesi e 122 tedeschi. Anche per questo il ministero dell’Economia sta affinando i nuovi interventi a beneficio delle aziende medie (fino a 250 milioni di fatturato), con detassazione del capital gain oggi al 26 per cento, come anticipato dal Foglio. Dopo l’annuncio di Draghi, si studia uno strumento che possa riguardare aggregazioni tra imprese o ricapitalizzazioni di aziende più strutturate, in grado di attrarre gli acquisti Bce da giugno in poi.