Chi è il nuovo reuccio cinese degli alberghi di New York. La sfida di Anbang
Milano. La catena alberghiera americana Marriott ha lanciato una contro-offerta per rilevare la rivale Starwood hotels al fine di contrastare l'acquisizione lanciata in precedenza dalla assicurazione cinese Anbang. Marriott ha offerto 13,6 miliardi di dollari per rilevare la catena rivale superando del 5 per cento circa l'offerta cinese. Analisti ritengono probabile e non sorprendente un'altra proposta da parte di Anbang. Ma cos'è Anbang e chi è il suo padrone, Wu Xiaohui?
Il nuovo re degli alberghi di New York non concede interviste, ma non tira indietro quando viene invitato a parlare agli studenti ad Harvard. Non frequenta locali alla moda, ma ama accogliere i suoi ospiti con cesti di frutta e selezione dei the più delicati in una suite del Waldorf Astoria, la prima gemma del suo impero nella Grande Mela, acquistato per poco meno di tre miliardi di dollari un paio d’anni fa dall’amico Stephen Schwarzman, l’influente gestore di Blackstone. Potrebbe essere lui, così elegante e riservato, il candidato ideale di Wall Street per la Casa Bianca. Purtroppo, però, l’uomo che nel giro di una settimana ha messo sul tavolo 23 miliardi per acquistare il controllo di Strategic Resort & Hotels (12 alberghi di lusso) e della catena Starwood (Sheraton e St Regis compresi) arriva dalla Cina. E non intende emigrare in America, semmai la vuole comprare a suon di yuan. O almeno questa sembra la missione di Wu Xiaohui, 49 anni, il finanziere rampante che può vantare una parentela eccellente: nel 2001, in secondo nozze, il giovanotto ha sposato nientemeno che Zhoi Lian, nipote di Deng Xiaoping, il compagno di Mao nonché il padre della svolta economica cinese da povero Paese contadino a grande potenza economica.
Fu senz’altro quel matrimonio a cambiar la vita di Wu, allora rappresentante di ricambi auto in quel di Zjehiang, il cui governatore, guarda la combinazione, era il padre della prima moglie, la signora Liu. Ma non fu una impresa facile: per mesi, rivela l’autorevole Caixin i servizi di Pechino hanno indagato a fondo sull’intraprendente giovanotto prima di dare il loro benestare alla sua promozione nella nomenklatura, subito festeggiata dall’autorizzazione all’attività di Anbang, in origine una piccola compagnia di provincia, specializzata nelle polizze auto. Il primo passo di carriera tanto incredibile quanto improbabile: in meno di dodici anni i 60 milioni di euro iniziali, tanti quanti Wu raccolse per dar vita alla sua impresa, si sono moltiplicati di 100 volte e più grazie soprattutto a costanti ed ingenti iniezioni di capitali di nuovi partners, che hanno finanziato con grande, (sospetta) generosità, l’irresistibile ascesa del nipote di Deng, interprete fedele del mandato del vecchio eroe comunista: la ricchezza è rivoluzionaria.
La sua Lunga Marcia al gotha della finanza è stata davvero impressionante: il capitale di Anbang è salito a 62 miliardi di yuan (oltre dieci miliardi di dollari) ma nel frattempo la potenza di fuoco della compagnia è stata rafforzata dai 53 miliardi di premi incassati dalla clientela. Grazie a queste munizioni, mister Wu ha avviato una campagna acquisti memorabili che va assai al di là dello shopping dei grandi alberghi. In meno di due anni nbang ha effettuato acquisizioni per oltre 28 miliardi di dollari in tre Continenti: società immobiliari, colossi delle costruzioni (compresa una quota del 5 per cento in Vanke, il maggior gruppo edilizio del mondo), finanziarie di ogni tipo (dal leasing ai fondi di investimento) più partecipazioni di rilievo nelle quattro banche più importanti del Paese del Drago, Industrial & Commercial Bank compresa. Nel frattempo ha trovato tempo e modo per corteggiare un istituto coreano, la Woori Bank e far shopping in Belgio, acquistando una piccola compagnia, la Fiba. Ma la partita più importante si gioca in Minsheng International, la più importante banca privata cinese con grandi interessi industriali, dall’energia all’aviazione ed all’edilizia oltre che un sogno miliardario (o ben di più di un sogno) nel cassetto coltivato dal suo numero uno, Mao Xiaofeng: la creazione a Londra di un nuovo distretto finanziario, la “terza City” della capitale, simbolo tangibile sul Tamigi delle ambizioni del Nuovo Impero.
Peccato che il tycoon sia incappato nella campagna anticorruzione scatenata dal presidente Ji Xinping contro i reati di Borsa. Una disgrazia che ha portato fortuna a Wu, oggi il primo azionista di Anbang, con una quota superiore al 20 per cento. Tutto merito della memoria di Deng? Probabilmente no anzi, perfino l'Economist dà atto a Wu di aver dimostrato un’abilità fuori dal comune nella gestione dei rapporti, complicati e delicati, con i tanti centri di potere della burocrazia cinese. Il miliardario, poi, ha già cancellato il peccato d’origine, assicura ancora una volta il Caixin: poco più di un anno fa è arrivato il divorzio con la nipotina di Deng, ma le cose non sono cambiate. Wu fa ormai parte della nomenklatura più esclusiva, assieme a Levin Zhu, figlio dell’ex premier Jiang Zemin, che guida China International Capital, e a Winston Wen, uno dei discendenti di Wen Jabao (il fratello guida la compagnia assicurativa Ping ‘an). Senza trascurare il legame, sempre stretto, con il presidente Xi Jingping, il nuovo padrone del Celeste Impero cresciuto all’ombra di Deng. Una vera e propria lobby che mister Wu, con grande abilità, ha saputo allargare oltre i confini costruendo un legame a prova di bomba con i Big di Wall Street, tipo J.C. Flowers, o il re del mattone John Gray di KKR.
Sembra strano, ma nel bel mezzo della campagna elettorale americana non fa notizia l’avanzata nel cuore di New York di un tycoon cinese, per giunta nipote di un mito. Così come colpisce il fatto che Pechino, preoccupata per il flusso di capitali in uscita dal paese, non ponga alcun freno all’attivismo di Wu, in costante movimento con il suo jet alla ricerca di buoni affari. Forse, malignano i media occidentali, Anbang amministra fondi di azionisti eccellenti. Oppure, il che non è in contraddizione, Pechino è convinta che Wu possa fare l’interesse del Dragone. L’impero di alberghi e resort di lusso creato in questi giorni può, a operazione conclusa, rappresentare il nucleo duro di un brand forte, buono per crescere nel mondo dei viaggi (turismo e business) così come nella moda e tempo libero. Musica per i grandi del business americani, orfani dei capitali mediorientali logorati dalla crisi del greggio e spaventati dalle folate populiste che da destra e da sinistra, fischiano attorno a Wall Street. Ben venga, insomma, il vento d’Oriente.