Vincent Bolloré

Cosa c'è dietro le prove tecniche di pax renziana su telefoni e televisione

Stefano Cingolani
Telecom, da sempre “strategica”, stavolta è sempre più francese ma non provoca immolazioni nell’establishment italiano. Rimosso l'amministratore delegato Marco Patuano. Borse su.

Roma. Il mondo dei media e delle telecomunicazioni è di nuovo in subbuglio. Il protagonista del gran ribaltone annunciato è Vincent Bolloré attraverso Vivendi il gruppo di media e intrattenimento del quale ha assunto il controllo in Francia e che in Italia possiede il 24,9 per cento di Telecom. Ma ancora ieri, alla vigilia del cda che recepirà le dimissioni dell’ad Marco Patuano, a differenza da quel che è accaduto tutte le altre volte, non si levano alti lai dal mondo politico. Fin dalla privatizzazione del monopolista di stato nel 1997, a ogni cambio di governo ha fatto seguito un nuovo patron: il nocciolino duro attorno a Umberto Agnelli con il governo Prodi, Roberto Colaninno con Massimo D’Alema, Marco Tronchetti Provera con Silvio Berlusconi, gli spagnoli di Telefonica più le banche di sistema con il ritorno di Prodi, Telefonica con Enrico Letta e Vivendi con Matteo Renzi.

 

Un’altra anomalia tutta italiana che dimostra quanto la compagnia telefonica sia considerata strategica, cioè politicamente sensibile. Ieri Patuano ha lasciato la poltrona di amministratore delegato. Vivendi ha impiegato mesi prima di ottenere il posto di comando. Tra i candidati, in pole position è Flavio Cattaneo, già direttore generale della Rai nominato dal governo Berlusconi, poi amministratore delegato di Terna (che gestisce la rete elettrica per le imprese) e adesso al comando di Italo (il treno di Montezemolo e Della Valle). Una figura trasversale, caratteristica importante soprattutto se il futuro di Telecom Italia s’intreccerà con quello di Mediaset.

 

La Borsa ci scommette e ieri Repubblica ha pubblicato un dettagliato scenario con tanto di scambio azionario, poi ridimensionato dallo stesso Berlusconi (con delusione di Piazza Affari). Non si tratta di fondere Mediaset in Vivendi, né Premium in Canal Plus, ma di condividere i contenuti, per affilare le armi contro Netflix. Telecom Italia potrebbe rientrare in campo come eventuale partner nelle infrastrutture (le torri e i ripetitori) per poi aprire la strada a Orange che in Francia sta stringendo l’accordo con Bouygues. In pratica, Orange acquisisce Bouygues Telecom parte in contanti parte in azioni per poi dividerla tra i vari contendenti: la rete a Sfr, il secondo operatore controllato dal miliardario Patrick Drahi, i ripetitori e i negozi a Free Mobile posseduta da Iliad la compagnia di Xavier Niel entrato in Telecom Italia con un pacchetto di opzioni e azioni del 15 per cento che ne fa il secondo azionista dopo Vivendi. Orange si tiene i servizi. E’ questo il modello da applicare anche in Italia? Lo spezzatino in salsa francese riserverebbe una buona porzione a tutti, soprattutto se entra in campo anche la Cassa depositi e prestiti come azionista di rilievo nella futura società della rete, oppure se Metroweb viene fatta confluire in Telecom.

 

Azionisti stranieri, separazione delle infrastrutture, condivisione dei servizi ad alto valore aggiunto: esattamente lo schema esplorato già dieci anni fa. Allora Marco Tronchetti Provera discuteva un accordo con Rupert Murdoch e con Mediaset, mentre Angelo Rovati, consigliere di Romano Prodi per le patate bollenti, stilava un progetto che prevedeva di affidare la rete allo stato. La Repubblica cominciò a sparare ad alzo zero.  Si disse che Carlo De Benedetti, membro del consiglio della Pirelli, si era opposto all’acquisto di Telecom e adesso schierava la corazzata. In realtà, si è poi scoperto che CDB votò a favore. Comunque, il gruppo Espresso non ha dato tregua a Tronchetti, a Telecom e naturalmente a Berlusconi. Oggi, invece, il quotidiano dell’Ingegnere non alza la voce. Del resto, è stato beneficiato dagli eredi Agnelli che hanno portato in dote la Stampa, senza obiezioni dai guardiani della concorrenza e dai  difensori dell’informazione plurale.

 

Tanta acqua è passata sotto i ponti. C’è la crisi dei giornali e dei media in genere. Ci sono i debiti accumulati, molto difficili da smaltire. C’è una Borsa che, pur con alti e bassi speculativi, continua a penalizzare l’intero comparto. C’è Netflix e l’inaridirsi della televisione generalista. Insomma, è difficile arricciare il naso e fare tanto gli schizzinosi. Ma inutile negare che anche la fase politica gioca un ruolo essenziale. Riallineamento, nuovi equilibri, la pax renziana scende su tv, telefoni e media?
Stefano Cingolani

 

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