Vincenzo Boccia, nuovo presidente di Confindustria (foto LaPresse)

La partita tra industriali e giustizia luddista

Alberto Brambilla
La Confindustria di Boccia s’allarma per le “manine” anti impresa. Parlano Antonio Gozzi (Federacciai) e Marco Gay.

Roma. Il neo designato presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, imprenditore salernitano votato dalle territoriali del sud, è rispettoso delle regole associative che comandano il silenzio stampa fino alla ratifica della nomina dell’Assemblea degli associati, il 25 maggio. Boccia vuole essere “corresponsabile della crescita del paese” col governo Renzi, quindi castrare eccessi di corporativismo del sindacato degli imprenditori. Perciò lo scandalo politico che ha costretto alle dimissioni il ministro dello Sviluppo, Federica Guidi, ex presidente dei Giovani di Confindustria, intercettata col compagno Gianluca Gemelli, ex commissario di Confindustria Siracusa (dimessosi ieri), quasi meriterebbe la rottura del silenzio mediatico.

 

Guidi ha commesso una leggerezza nel comunicare al compagno la notizia, d’interesse per la di lui carriera, dell’approvazione di un emendamento di buon senso nel decreto Sblocca Italia e favorevole all’avanzamento del progetto “Tempa Rossa” per velocizzare la costruzione di una filiera integrata del petrolio, dai pozzi in Basilicata alla raffineria Eni in Puglia, e così aumentare del 40 per cento la produzione nazionale di greggio. Gemelli ha immediatamente comunicato la notizia offerta da Guidi a Total E&P Italia, succursale della compagnia francese che realizza l’opera, forse nella speranza di avere più chance di diventare fornitore di servizi ingegneristici con le aziende di cui è titolare, I.T.S e Ponterosso Engeneering. La fiducia che un governo pone in un confindustriale giunto all’esecutivo dipende anche dalla capacità dell’imprenditore o del manager allevato in Viale dell’Astronomia di censurare e bandire comportamenti tignosi tipici del “capitalismo clientelare”, massima espressione del corporativismo economico. Boccia potrà con l’occasione ribadire che gli associati di spicco che fanno politica devono avere un comportamento manageriale per non alimentare il sentimento diffuso – quanto assurdo – di sdegno verso la figura dell’imprenditore in quanto tale.

 

Il pregiudizio anti impresa di giustizia e media spinse già il presidente uscente Giorgio Squinzi a parlare nel maggio scorso di “manina anti impresa” in merito ai casi Tirreno Power e Ilva; stabilimenti produttivi paralizzati dalle inchieste rispettivamente a Savona e a Taranto. Altri esempi: il blocco temporaneo dei cantieri Fincantieri o il caso Terra dei Fuochi. La vicenda Guidi di competenza della procura di Potenza, che ha indagato Gemelli per il reato di “traffico di influenze”, risale al novembre 2014 ma la tempistica della diffusione della notizia sta fornendo un’arma retorica ai movimenti No Triv che vogliono bandire le estrazioni di idrocarburi vicino alle coste col referendum del 17 aprile. “E’ possibile che ogni volta che si cerca gas e petrolio ciò appaia al pubblico come un atto delinquenziale? Perché in un paese bisognoso di ridurre la bolletta e la dipendenza energetica, se fai un buco sei un criminale?”, si chiede Antonio Gozzi, presidente di Federacciai, che venne accusato di fascismo dal procuratore Armando Spataro di Torino quando parlò sul Corriere della Sera dell’urgenza di trovare un luogo di discussione sul tema delle azioni giudiziarie che minano la certezza del diritto e impediscono di operare attività d’impresa.

 

Sono diverse le voci critiche tra gli industriali. Marco Gay, 38 anni, presidente dei Giovani, dice che la “magistratura deve fare il suo lavoro, ma ci sono dinamiche che riguardano l’economia che non devono essere ostacolate. Il giudice – dice – deve fare chiarezza sulle regole da rispettare, le interferenze in corso d’opera invece non lasciano il mercato libero di operare, che non vuol dire trascendere le regole della concorrenza ma favorire chi produce, nel rispetto delle norme, beni e servizi”. La “corresponsabilità” sviluppista di Boccia passa anche dal contrasto della cultura anti impresa a ogni livello possibile.

  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.