L'output gap, il prossimo fronte dell'Ue
Bruxelles. Dimenticate la flessibilità, la prossima battaglia che l’Italia intende condurre in Europa è sull’output gap. Pier Carlo Padoan lo ha detto mercoledì in un’intervista al Figaro: “Basterebbe modificare di poco le regole di calcolo” del saldo netto strutturale dei paesi dell’Eurozona “per dimostrare senza ombra di dubbio che l’Italia ha le sue finanze pubbliche assolutamente in equilibrio”. Con i suoi colleghi di Spagna, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Portogallo, Slovacchia e Slovenia, il 18 marzo Padoan ha inviato una lettera alla Commissione europea per “suggerire” di ritoccare le sue metodologie. “La stima della crescita potenziale – con l’obiettivo di misurare la componente ciclica dell’equilibrio di bilancio – è cruciale” nell’ambito delle regole del Patto di stabilità, hanno scritto i ministri. “Non vogliamo discutere possibili revisioni del modello, ma affrontare un’incoerenza specifica”: la Commissione è invitata a prolungare da due a quattro anni “l’orizzonte temporale delle sue proiezioni” economiche. Al di là dei tecnicismi, per l’Italia potrebbe significare la fine dell’austerità: il pareggio di bilancio in termini strutturali sarebbe “più o meno” raggiunto, dice al Foglio una fonte del Tesoro.
L’output gap è la differenza tra la crescita effettiva e quella potenziale. Poiché lo strumento chiave per stabilire se il bilancio di un paese è conforme al Patto di stabilità è il saldo netto strutturale (il deficit al netto del ciclo e delle misure una tantum), qualche punto di output gap in meno può significare diversi punti di austerità in più. Interrogato dal Wall Street Journal, il portavoce di Padoan ha azzardato una cifra: 13 miliardi. Ai piani alti della Commissione, il sospetto è un nuovo tentativo italiano di ottenere margine di bilancio alla vigilia della presentazione del Documento di economia e finanza, nel momento in cui si chiude la finestra della flessibilità. “Se l’Italia avrà tutta la flessibilità chiesta per quest’anno, non potrà beneficiarne nel 2017”, spiega un responsabile europeo. In realtà, il braccio di ferro sull’output gap tra Padoan e la Commissione va avanti da anni. Inoltre, la strana coalizione che ha firmato la lettera è composta da falchi come lo slovacco Peter Kazimir e colombe come il portoghese Mário Centeno. La Francia socialista e anti austerità, per contro, è assente. Motivo? “Sembrerebbe perderci”, spiega l’economista dell’Ocse Andrea Garnero, che ha fatto un rapido confronto tra i dati sul saldo netto strutturale di Commissione e Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Tutti i firmatari avrebbero da guadagnarci, “alcuni anche in maniera sorprendente”, dice l’economista. L’incoerenza tra l’orizzonte delle previsioni della Commissione (due anni) e dei governi (quattro anni) “rende la vita un po’ più difficile agli stati membri che cercano di adottare misure di bilancio appropriate per raggiungere i loro obiettivi di bilancio”, spiega al Foglio la portavoce di Kazimir.
[**Video_box_2**]Secondo Garnero, “il dibattito sul metodo di calcolo è benvenuto” e “la proposta degli otto sembra avere senso”. Il problema è che “se l’euro si basa solo su regole, e non sulla politica, qualunque indicatore, per costruzione sempre limitato, alla fine rischia di essere stupido”. La Commissione ha promesso di rispondere alla lettera, ma si barrica dietro alla metodologia attuale. “Siamo pronti a esaminare la questione”, ha detto il vicepresidente responsabile dell’euro, Valdis Dombrovskis. Ma “non sempre” i suggerimenti di tutti i governi “vanno nella stessa direzione”.