Austerità moderata. Il cauto ottimismo di Cottarelli su Italia, spesa e debito
Carlo Cottarelli non è il talebano dell’austerità che molti credono e che i media dipingono. Non appartiene all’avanguardia delle truppe di Wolfgang Schäuble e del Finanzministerium di Berlino in Italia. L’ex commissario alla spending review – secondo la vulgata dimessosi dall’incarico in polemica col governo ma lui nega – si guarda bene dal cadere nella trappola degli opposti estremismi: di chi da una parte vorrebbe sottoporre il paese a una cura tedesca e di chi dall’altra fa spallucce di fronte alla crescita dello stock di debito pubblico, la vera palla al piede dell’economia italiana. Cottarelli, al contrario, è a favore di una “austerità moderata” e crede che gli obiettivi di finanza pubblica che il governo si è dato con la legge di Stabilità 2016 e con il piano a medio termine siano in grado, se realizzati, di invertire la tendenza all’aumento del rapporto debito pubblico/pil e pervenire al pareggio strutturale di bilancio nel 2019 senza i costi sociali che la propaganda antiausterity prefigura.
Nel suo ultimo libro “Il macigno. Perché il debito pubblico ci schiaccia e come si fa a liberarsene” (Feltrinelli) spiega come intervenire. Ai catastrofisti in servizio permanente effettivo, Cottarelli manda a dire innanzitutto che “l’Italia non è sul Titanic”, ma nello stesso tempo avverte chi si illude di poter andare avanti come sempre che la bonaccia dei bassi tassi d’interesse made in Bce “non durerà all’infinito” e che il paese è esposto al volubile umore dei mercati. Dunque la questione del debito, “mai salito sopra il 130 per cento del pil dal primo dopoguerra”, va presa per le corna perché un alto indebitamento, oltre a rappresentare una “questione morale”, ci espone al rischio di una crisi di fiducia (in stile 2011) e frena la crescita. Va presa per le corna, anche al netto di una serie di fattori: per esempio che l’Italia non ha debito pensionistico (in Germania è il 32 per cento del pil), che l’indebitamento valutato al netto delle attività finanziarie del governo scende al 110 per cento e che negli ultimi anni la discesa del debito è stata frenata dagli aiuti a Portogallo, Grecia e Irlanda.
Va presa per le corna, ma come? Cottarelli boccia in premessa le scorciatoie che si agitano nel frullatore del dibattito italiano e che sono particolarmente care ad alcune forze politiche di opposizione: come l’idea di un’uscita dall’euro o quella della ristrutturazione del debito. Sono soluzioni che equivalgono a somministrare al paziente una massiccia dose di tasse, la prima via inflazione, la seconda via perdita di ricchezza da parte dei possessori di titoli. Ma l’ex commissario è scettico anche sulla praticabilità di alternative più ortodosse come le privatizzazioni (possono aiutare ma i proventi sono sempre incerti) e la mutualizzazione del debito (“richiede una dose di altruismo che non si riscontra neppure negli stati federali”).
Da valutare invece vantaggi e svantaggi di una eventuale patrimoniale in chiave adiuvante. Scartate le scorciatoie resta dunque in campo “la strada maestra di una austerità moderata” e di riforme strutturali per innalzare la crescita di lungo periodo e abbattere il debito. E non si parte da zero: “A partire dal 2010 si è cominciato a ridurre la spesa”. Già in una intervista a “Piazza Pulita” dello scorso gennaio, l’ex commissario alla spending review aveva sostenuto sulla base di rielaborazioni su dati Istat che tra il 2009 e il 2014 la spesa pubblica primaria si era fermata in Italia crescendo di appena l’1,2 per cento in termini nominali.
Se ora il governo punta al pareggio strutturale nel 2019 partendo da un deficit del 2,4 per cento quest’anno, Cottarelli sfata il mito che per realizzare l’obiettivo occorra una correzione di 2,4 punti. In realtà, senza aumentare le tasse e grazie ai minori oneri per interessi, basta che la spesa in termini reali cresca dello 0,5 per cento annuo in linea con il pil potenziale perché la correzione necessaria a raggiungere il pareggio ammonti a 0,8 punti, cioè 5 miliardi di euro all’anno. Yes we can: ciò favorirà la progressiva discesa del debito fino al 90 per cento del pil nel 2029 nel rispetto delle regole europee. “Ma non lo facciamo per l’Europa, lo facciamo perché ci conviene”.