L'aplomb dell'uberista
Uber irrompe anche sulla scena del sondaggio politico per giornalisti pigri. E fornisce, seduti in una comoda berlina nera, opinioni e informazioni raccolte in un tragitto urbano da usare come approssimazione dell’opinione pubblica. Tema ovviamente il Campidoglio. Troppo pigri però non si può essere, perché l’autista Uber romano è pressoché sempre un Ncc, e quindi ha i suoi princìpi professionali e non rivolgerà mai per primo la parola al passeggero né terrà accesa, senza consultarsi col sedile dietro, una qualche radio specializzata in dibattiti calcistici. Niente comizi indignati, quindi, né allusioni o insinuazioni da querela, bensì silenzio e attesa. Ma non c’è bisogno di una domanda ben strutturata, basta un piccolo spunto, accompagnato da un’intonazione amichevole e anche l’uberista si accende.
Subito in tema e subito un colpo basso ai rivali-concorrenti: Il Pd – ci racconta – stavolta sta trattando coi tassisti, quelli che, direttamente o indirettamente, muovono 60 mila voti. Quindi che ne è del legame tra tassisti e destra, una costante della politica romana? Non è vero niente, anzi – ci dice il nostro primo uberista – con tutti gli ultimi sindaci le cose per il settore sono andate sempre peggio e l’unico che ha lasciato qualcosa di positivo, facendo crescere per tutti il business del turismo e del trasporto, è stato Walter Veltroni. Si prova con la domanda diretta. Ma questa Raggi? Il nome qualcosa mi ricorda, dice sornione, ma poi scopre le carte aggiungendo che sì, vediamo, ma noi siamo sospettosi su tutti. Si sentono lontani dalla società politica, dal potere. I politici – dice rispondendo a domanda specifica sul tema – non prendono Uber, sono abituati a venire a Roma frequentemente e si sono già organizzati da anni con autisti per le tratte abituali, a prezzo ribassato rispetto alle nostre. Quindi è la disintermediazione delle disintermediazioni? Ecco, sì. Il potere semmai sta in California. Uber è forte, come lobby riuscirà perfino a contrapporsi a quella dei tassisti. E se il politico non prende Uber, con noi, ci dice, si sposta tanta gente di spettacolo. Le rivendicazioni politiche dell’uberista saltano il Campidoglio romano e puntano a quello di Washington: Obama, sconsigliando i viaggi in Europa, ci ha fatto un bel danno e anche la tensione con Putin non aiuta: sono due anni che non si vedono più i russi ricchi in giro.
Altro giro e si torna all’attualità romana. Ma la linea resta quella del distacco. Giachetti. Qual è? Guardi io ho votato sempre Pd ma Giachetti non ce l’ho proprio presente. Sì, potrebbe andare anche la signorina dei 5 stelle (che alla fine me sembrano i meglio, più onesti, più puliti, però boh) ma me pare che ce l’ha un po’ con noi e che invece gli piacciono ’ste macchinette rosse, quelle delle ferrovie (le enjoy, ndr). App contro app? Ecco, sì. Poi c’è ’sto Marchini. Dice che lui non vuole stare coi partiti, ma a me me pare che invece non ce lo vogliono. Bertolaso? Boh. Mentre Meloni è ovviamente esclusa a priori dall’uberista che si era comunque presentato come già elettore Pd. Ma le strade, le buche? E’ che so’ collusi, e quindi i lavori vanno sempre agli stessi, quelli che avevano fatto male prima e continuano a fare male, toccherebbe azzera’ tutto quanto. E voi? Questo lavoro? Uber non è tenero, se piglia ’na bella percentuale, sarà la nostra rovina. Ma non porta anche clientela? Sì, ma è robetta, per arrotondare. E invece quelli che magari prima ci prendevano per la giornata intera, spendendo sui 150-200 euro fissi, adesso si fanno portare alla prima tappa, magari al ministero, e tanti saluti. Quando escono ne prendono un altro. Così alla fine della giornata romana è tanto se hanno lasciato 50-60 euro. Ormai se sopravvive, nun se guadagna.