Unicredit cerca di non diventare la vittima sacrificale del caos bancario
Roma. Unicredit ha provato a rispondere con il bilancio del primo trimestre alle perplessità del mercato dopo che l’istituto si era sfilato dall’aumento di capitale di Banca Popolare di Vicenza, poi sottoscritto dal fondo salva-banche Atlante evitando un disastro per l’infermo settore bancario.
L’utile netto di Unicredit, prima banca italiana per giro d’affari, è sceso del 21 per cento nel primo trimestre dell’anno per via dei costi di ristrutturazione in Italia e in Austria (è prossima l’incorporazione del business dell’est-europa sotto la direzione di Milano invece che sotto Bank Austria). Il gruppo bancario ha comunicato ieri che nei primi tre mesi dell’anno l’utile netto è stato di 406 milioni di euro, contro i 512 milioni dello stesso periodo dell’anno precedente, mentre il costo delle ristrutturazioni è stato di 259 milioni. Le stime degli analisti alla vigilia dei conti erano molto variabili, ma il risultato ha battuto il consensus. Il piano strategico al 2018, rivisto a novembre dell’anno scorso, punta a un aggressivo taglio di 18.200 posizioni lavorative (il 14 per cento della forza lavoro), dopo un decennio di espansione in Europa dell’est con duplicazione di funzioni e relativo aumento dei costi. Il gruppo, attivo in 17 paesi, ha chiuso 519 filiali in un anno di cui 92 nel primo trimestre, 68 in Italia; paese dove gli sportelli bancari sono più degli hotel. E’ stato cancellato un terzo delle posizioni dirigenziali italiane, ovvero 500 dirigenti. Federico Ghizzoni, l’amministratore delegato, si era unito al coro di banchieri – Ubs, Credit Suisse, Barclays – che avevano manifestato l’intenzione di tagliare i costi per recuperare la capacità di fare profitti in un contesto di tassi ai minimi che deprimono i margini di guadagno. Per Ghizzoni i risultati sono “più che soddisfacenti, come dimostra la crescita dei prestiti e dei depositi”. Unicredit dice di avere accordato nuovi prestiti per 15 miliardi da inizio anno (di cui 1,4 di mutui in Italia, il doppio rispetto a un anno prima). Il titolo ha reagito d’impulso ai conti salendo del 4 per cento, salvo poi chiudere con una perdita dell’1,4 per cento. Nell’ultimo anno le quotazioni avevano perso il 52 per cento, peggio della concorrente Intesa Sanpaolo (meno 26 per cento). Intesa, con una capitalizzazione di mercato doppia di Unicredit, nel primo trimestre ha riportato un utile netto di 806 milioni di euro, in calo del 24 per cento rispetto al miliardo circa dei primi tre mesi del 2015, segnando la performance migliore del settore. Intesa ha sindacato l’aumento di capitale da un miliardo di euro di Veneto Banca, prossimo test per la stabilità del sistema. Il nuovo presidente di Veneto Banca, scelto dopo il ribaltone al vertice di settimana scorsa, confida di non avere bisogno di Atlante a differenza di Vicenza.
L’ad di Unicredit, i cui principali azionisti sono il fondo emiratino Aabar e quello americano BlackRock, ha risposto alle nuove stilettate del Financial Times confermando di volere rimanere al suo posto. Il quotidiano inglese lunedì era tornato a scrivere sia di un’uscita di Ghizzoni, 60 anni, sia della necessità di una ricapitalizzazione monstre da 7 miliardi di euro – che è stata smentita ancora ieri dalla banca – aggiungendo l’impressione di un danno reputazionale dovuto al flop di Vicenza. Una “pagina chiusa”, questa, dice Ghizzoni. Rumor di un ricambio proseguono da mesi anche riguardo i vicepresidenti Luca di Montezemolo, sponsor di Aabar, e Fabrizio Palenzona, che era stato coinvolto – senza conseguenze, caso archiviato – in un’inchiesta giudiziaria. Il presidente di Unicredit, Giuseppe Vita, uomo dalle ottime relazioni con l’establishment di Germania, dove la banca paga lo svantaggio di essere esposta sull’immobiliare tedesco con la controllata HypoVereinsBank, ha smentito rivolgimenti. La catena di comando resta sotto scrutinio della stampa britannica che insiste nell’ipotizzare la sostituzione di Ghizzoni con Andrea Orcel di Ubs.