Clausola dopo clausola
Si può dire? Sì, si può. Il Fiscal compact è morto. Viva il Fiscal compact!
Roma. Oggi la Commissione europea riconoscerà al nostro paese la possibilità di spendere circa 14 miliardi che al momento non ha, quindi indebitandosi, per l’anno in corso. L’Italia potrà fare più deficit di quanto teoricamente consentito, grazie ad alcune clausole contenute nelle stesse regole europee: clausole per investimenti, riforme e spese non previste per immigrazione e sicurezza. Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, si è detto soddisfatto: “In queste ore l’Europa ci riconosce un elemento di flessibilità. Meno di quanto avrei voluto, non è la soluzione di tutti i mali, ma è un principio di flessibilità”. L’esecutivo comunitario non mancherà di chiedere un maggiore sforzo di risanamento dei conti pubblici, forse lo quantificherà, ma per il prossimo anno. Il temibile Fiscal compact, allora, che fine ha fatto? Il trattato intergovernativo che per anni ha monopolizzato il dibattito pubblico fu ideato nel 2011 per avvitare i bulloni dell’austerity europea.
Erano i tempi in cui l’instabilità politica terrorizzava i mercati e in cambio i mercati terrorizzavano i governi, i tempi in cui il premio Nobel Paul Krugman prefigurava una fine dell’euro “nel giro di mesi, nemmeno anni”. Dopo un lustro abbondante, il Fiscal compact avrebbe già dovuto “ammazzare l’Italia”, come disse Beppe Grillo; per l’ex presidente del Consiglio, Enrico Letta, si trattava di un artefatto “terribile per l’Italia”; per la Cgil andava cancellato via referendum il prima possibile; per decine di politici e divulgatori bipartisan, lo stesso Trattato voluto da Angela Merkel avrebbe imposto al nostro paese manovre monstre da 50 miliardi di euro l’anno solo per rispettare la regola del debito pubblico; 50 miliardi? “In realtà potrebbero essere di meno, o anche di più”, precisavano – si fa per dire – i guru no euro. Tuttavia il tanto vituperato Fiscal compact spegne cinque candeline e in Italia non si sono viste manovre fiscali da finimondo. Anzi. Oggi la Commissione chiuderà un occhio sul debito pubblico italiano e abbasserà un po’ l’altra palpebra sul deficit. Il Fiscal compact è morto? Non sta tanto bene, è sicuro. Lo ha scritto nero su bianco la Banca centrale europea nel suo ultimo Bollettino, valutando l’applicazione del Patto di stabilità e crescita per come rafforzato nel 2011: “Sia in Belgio sia in Italia la correzione strutturale nel 2014 e nel 2015, secondo le previsioni dell’inverno 2016 della Commissione europea, è stata significativamente inferiore a quella richiesta dalla regola del debito”. Almeno dallo scorso anno il rapporto debito pubblico/pil italiano doveva scendere di un ventesimo della distanza che ci separa dal 60 per cento, invece quest’anno supererà il 133 per cento.
Cosa succede? Per Hans-Werner Sinn, economista tedesco falco tra i falchi, l’Eurozona dovrebbe rottamare il Fiscal compact perché Italia e Francia in primis non lo stanno rispettando. Per Gustavo Piga, economista italiano e alfiere anti austerity, il Fiscal compact effettivamente non sta mordendo come previsto, ma la sola possibilità che morda domani è deleteria. Chi il Fiscal compact lo conosce bene, osserva correttamente che il governo Renzi si gode oggi i frutti delle clausole di flessibilità strappate ieri: gli sconti per “circostanze eccezionali” (già previsti nel progetto europeo originario); “altri fattori rilevanti” (governo Berlusconi); “investimenti” (governo Monti); e poi le procedure ottenute da Monti che rendono più difficile in seno al Consiglio Ue avallare una procedura per debito eccessivo (a differenza che per deficit). Dal governo la lettura è più politica: il Fiscal compact fu un messaggio per mercati e cittadini tedeschi, utile anche nell’accelerare qualche riforma; oggi la Commissione ha capito che è il momento del pragmatismo, politico ed economico. Il Fiscal compact è morto, viva il Fiscal compact!