Da Einaudi a Puviani, da Rossi a Gobetti. Il pantheon del liberismo radicale
Oggi, come ogni lunedì, è andata in onda "Oikonomia", la mia rubrica su Radio Radicale. Qui potete ascoltare l'audio, di seguito invece il testo con link e approfondimenti.
Già altre volte, in questo spazio, ho avuto modo di citare recenti o passate iniziative radicali in materia di economia. Questa volta, in particolare, vorrei ricordare alcune delle principali riflessioni che Marco Pannella, scomparso giovedì scorso, ha dedicato ai temi economici. Sul Sole 24 Ore, l’editorialista Guido Gentili – uno tra i pochissimi a prestare attenzione a questo aspetto sui giornali nazionali – ha ricordato che “in economia il maestro di Pannella fu Ernesto Rossi (…), un antimonopolista ruggente – compreso quello sindacale – e fustigatore del capitalismo assistito”. Non a caso il leader radicale, oltre che a Rossi, si è spesso riferito a due dei maestri del giornalista del Mondo, cioè Gaetano Salvemini e Luigi Einaudi.
Di quest’ultimo, vissuto tra 1874 e 1961, Pannella disse di condividere l’idea stessa del liberismo. Un liberismo, ripeteva il leader radicale, che vive anche di regole. Non solo; parlando recentemente del necessario sviluppo della contrattazione aziendale, Pannella aveva detto: “Se neghiamo per esempio ai nostri piccoli imprenditori di esprimere la loro genialità nei rapporti con i pochi dipendenti che hanno, cosa gli resta? Di fatto è questo uno degli interrogativi che poneva Luigi Einaudi quando sosteneva che il liberismo è una scelta etica prim'ancora che economica”.
Salvemini, vissuto tra 1873 e 1957, Pannella lo citò per esempio parlando al Foglio della parabola di Sergio Marchionne, nei mesi in cui l’amministratore delegato di Fiat era demonizzato per il suo tentativo di scardinare la concertazione nazionale: “Gaetano Salvemini, anche lui americano acquisito. All’inizio del secolo scorso, egli riconobbe nell’alleanza industrialista tra aristocrazie operaie e imprese succhia-stato il fattore che impediva lo sviluppo del paese, e uscì contemporaneamente dal Partito socialista e dal sindacato”.
Sono ragionamenti che fanno comprendere meglio alcune delle battaglie, tutt’altro che teoriche, combattute negli anni dai Radicali in materia di lavoro. Nel 1995 ci fu per esempio l’iniziativa referendaria per abrogare la contribuzione sindacale automatica in busta paga; nel 2000 seguì il tentativo di abrogare l’articolo 18 dello Statuto del lavoratori. Il primo referendum fu vinto ma poi l’esito non venne rispettato; il secondo non raggiunse il quorum necessario ma ruppe per la prima volta un fronte granitico che riteneva intoccabile uno Statuto dei lavoratori che risaliva al 1970.
Negli anni 90, invece, Pannella teorizzava l’esistenza di un nuovo “Terzo Stato” che i vecchi schemi, concertativi o sindacal-burocratici, faticavano a rappresentare. Ecco cosa scriveva nel 1999, in una lettera aperta all’allora presidente della Confindustria, Giorgio Fossa, scritta a quattro mani con Emma Bonino: “Il nostro successo elettorale del 13 giugno, quelli di Guazzaloca, e anche di Destro, di Colli, sono forti segnali sociali di emersione del nuovo ‘terzo Stato’, della sua immensa base, di giovani, di disoccupati, di piccole e medie imprese, di cittadini, rivolta contro il mostro statalista e, diciamolo, statale”.
Guido Salerno Aletta, scrivendo su Milano Finanza venerdì scorso, ha inserito anche il referendum per la privatizzazione della Rai del 1995 e quello per l’abrogazione dell’Albo dei giornalisti del 1997 nel gruppo delle iniziative economiche. Il motivo dell’impegno radicale in questo campo, secondo il giornale finanziario, è che “solo abolendo il monopolio televisivo pubblico e spezzando il nesso fra partiti e sistema dell’informazione si poteva ottenere lo scopo ultimo, il diritto dei cittadini di essere informati correttamente: la libertà economica è strumentale all’esercizio delle libertà civili”.
Infine c’è il capitolo che potrei chiamare “politica fiscale”. Come ho già ricordato mesi addietro in questa rubrica, Pannella è stato l’unico leader politico nazionale a citare, fino a pochi mesi fa, Amilcare Puviani e Antonio De Viti De Marco, economisti italiani di fine 800-inizio 900. Si tratta di autori a lungo studiati in America, e ancora oggi, per esempio nel cosiddetto filone della “public choice” al quale appartiene James Buchanan, vincitore del premio Nobel per l’Economia nel 1986. Puviani, in particolare, è ricordato per la sua intuizione sulla “illusione finanziaria”, cioè la tecnica praticata dagli stati per alimentare la spesa pubblica e gli interessi a essa connessi, celando ai cittadini i costi di tale scelta grazie al debito pubblico e alle imposte occulte.
Sono riflessioni presenti anche in Piero Gobetti, evocato a più riprese da Pannella, e vissuto tra il 1901 e il 1926. Scriveva per esempio il pensatore torinese: “In Italia il contribuente non ha mai sentito la sua dignità di partecipe della vita statale: la garanzia del controllo parlamentare sulle imposte non era una esigenza, ma una formalità giuridica: il contribuente italiano paga bestemmiando lo Stato; non ha coscienza di esercitare, pagando, una vera e propria funzione sovrana. L’imposta gli è imposta”.
Il liberismo di Pannella e dei Radicali, in definitiva, non è mai stato un liberismo scolastico o ideologico. Alla sua radice – ne sono convinto – c’è sempre stata un’estrema fiducia nelle capacità dell’individuo, la cui libertà d’agire e di sbagliare va difesa da padronati e sindacati-chiesa, oltre che da uno stato-balia che si può trasformare in oppressore.
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