I crediti cattivi delle banche tra Atlante e mercato aperto
Roma. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico sostiene che l’Eurozona può avere scampato un immediato pericolo ma non è fuori dai guai. Nel complesso l’economia dei 19 paesi dell’area euro cresce poco ma ininterrottamente da tre anni. Tuttavia le eredità negative della crisi finanziaria frustrano la capacità di attrarre investimenti, mentre in diverse nazioni le imprese sono cariche di debiti. L’anello debole, avverte l’Ocse, è il sistema creditizio con le banche che devono combattere con alti livelli di prestiti deteriorati che rendono gli istituti cauti nel concedere nuovi finanziamenti all’economia. Il problema è molto acuto in Italia: a causa della crisi e della mala gestio in alcuni istituti la massa di crediti difficili da recuperare è arrivata a 360 miliardi di cui 274 miliardi da banche sotto vigilanza della Bce.
“I crediti deteriorati restano troppo alti in alcuni paesi e danneggiano la crescita del credito – dice il rapporto Eurozone Survey dell’Ocse presentato ieri a Parigi – occorre velocizzare e facilitare una risoluzione non innescando procedure di ‘bail-in’ all’interno delle regole esistenti”. L’Ocse, di cui il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan è stato vicesegretario generale per sette anni, sembra contrastare a parole le rigidità della Commissione europea portando acqua al mulino di Roma. L’Ocse raccomanda di creare una società europea di asset management per gestire i crediti cattivi (s’intuisce non squisitamente privata) e invita gli operatori di mercato a non mettere troppi vincoli al ribasso sul prezzo di acquisto dei crediti dubbi per non frustrare ulteriormente la capacità delle banche di rifiatare, altrimenti rischiano di dovere essere soccorse.
Le autorità italiane hanno riconosciuto tardi il problema dell’aumento dei crediti cattivi, bypassando per ragioni politiche la possibilità di creare una “bad bank” come in Spagna. Riuscire a creare un mercato per prodotti cartolarizzati è un cruccio non nuovo ma l’ampia differenza di prezzo tra le richieste di chi vende, cioè le banche, e la disponibilità a pagare di chi compra, cioè i fondi di investimento, rimane l’ostacolo principale. Il fondo Atlante, un fondo mobiliare chiuso al quale partecipa come anchor investor la Cassa depositi e prestiti, è stato creato in aprile per sviluppare un mercato finora inesistente. Tuttavia in due mesi di operatività ha potrebbe consumare circa la metà delle risorse iniziali (4,25 miliardi) tra il probabile aumento di capitale il mese prossimo di Veneto Banca e quello già accordato a Banca Popolare di Vicenza per evitare un contagio sistemico attraverso Unicredit, che però è impelagata in un lento processo di scelta del nuovo amministratore delegato che ha motivato un rapporto caustico di Barclays e il crollo di ieri in Borsa (meno 6,3 per cento) ai minimi da maggio 2012. Ignazio Angeloni, membro del Consiglio di vigilanza della Bce, aveva detto a maggio che, vista la ridotta entità, Atlante riuscirebbe a intervenire al massimo su un numero limitato di banche piccole e medie. Alessandro Penati, presidente di Quaestio Sgr che gestisce Atlante, ha per questo avanzato l’ipotesi di creare un secondo fondo che si occupi soltanto di crediti deteriorati.
Per quanto le spalle del titano siano “piccole” rispetto all’enorme fatica, Atlante è considerato un porto sicuro dagli istituti di credito che vi investono rispetto a soluzioni di mercato aperto. “Se si vuole eliminare subito le sofferenze dai conti delle banche – ha detto Gian Maria Gros-Pietro, presidente di Intesa Sanpaolo – bisogna vendere agli operatori specializzati con un prezzo al 20 per cento. Significa perdite sanguinose per le banche e un effetto disastroso per il sistema: la devastazione, questi operatori sequestrano tutto, vendono e lasciano le macerie. A noi va bene un investitore come Atlante che punta al 6 per cento in qualche anno senza far fallire nessuno”. Il recupero non sarà uno spint, ma una maratona. Ci sono state resistenze notevoli ad affidarsi al mercato da parte di alcune banche. Ad esempio, la genovese Carige ha respinto l’ingresso nel suo azionariato, mediante aumento di capitale, del fondo private equity americano Apollo che è specializzato in non-performing loans e godeva del placet della Banca centrale europea. E’ stata considerata un’offerta ostile. Tuttavia le banche non sono vittime: possono fare la loro parte riducendo le asimmetrie informative. Analisi approfondite dei portafogli capaci di dettagliare la natura dei crediti dubbi (c’è un’indagine Bce) è una garanzia per gli investitori che sono tirati sul prezzo. Ad esempio, la piccola Credito valtellinese ha realizzato da maggio due operazioni di cessione di crediti deteriorati di imprese immobiliari, i “pacchetti” migliori, a investitori istituzionali con buoni ritorni.