Non è imbrigliando Berlino che l'Italia e l'Europa cresceranno
Meglio andare oltre il “dàgli alla Germania”. Ci sono sinergie possibili (e da sfruttare) sui princìpi, sull’ethos, sull’Industria 4.0. Il commento di Josef Nierling, ad di Porsche Consulting.
A pochi giorni dal referendum sulla Brexit, il nuovo libro di Francesco Cancellato “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (Università Bocconi Editore) assume una rilevanza ancora più forte. E se Cancellato avesse ragione? Se dovessimo urgentemente incoraggiare la forza trainante della Germania in fatto di Europa invece di ostacolarla? L’uscita della Gran Bretagna, in effetti, potrebbe non essere così drammatica in sé. Sicuramente costosa, sia per i mercati finanziari sia per i futuri interscambi commerciali, ma assorbibile. Ma, è questo il vero dramma, costituirebbe un primo caso di riferimento che potrebbe attivare un processo di disgregazione della già labile Europa. Il caso Brexit aprirebbe infatti la porta a una più facile uscita a chi, per motivi economici, elettorali, o di altro tipo, intendesse staccarsi con un passo indietro su una decisione storica già presa.
E’ poco probabile che una “solida ma più piccola Europa” emerga dalle ceneri di un’implosione disastrosa. Indiscutibilmente, una dissoluzione dell’Unione europea renderebbe nei prossimi decenni i singoli paesi europei, inclusa l’Italia, irrilevanti in un contesto competitivo dominato da Stati Uniti e Cina. L’Unione è invece una visione primaria della Germania, un’Europa unita scritta addirittura nella propria Costituzione del 1949. Come europei, ci dobbiamo appellare oggi tutti a un valore che caratterizza la cultura tedesca, la Gemeinschaft, che potremmo tradurre come il contributo all’insieme, oltre l’individualismo del singolo e l’opportunità del momento. E dobbiamo, oggi più che mai, sfruttare la Zielstrebigkeit tedesca, la costanza e il focus nel raggiungimento degli obiettivi, per ottenere l’Ue. Perché, come scrive Cancellato, la soluzione è con i tedeschi, non contro.
Ciò che il nostro paese può realizzare come primo attore, attraverso la politica e l’economia, è un futuro prospero chiamato made in Europe. Un futuro che parta dalla relazione tra i due paesi e che possa rendere sinergici il made in Italy con il made in Germany, che generi una forza competitiva contrapponibile all’incalzante frontiera digitale americana e alla produzione di volume cinese. La filiera industriale italo-tedesca, seconda dimensionalmente solo alla Cina e più grande di quella americana, ha oggi la sua massima espressione nell’automotive, nel settore degli elettrodomestici, delle macchine utensili, dell’automazione, degli accessori e in tutti quei settori industriali che costituiscono la spina dorsale della nostra economia, così come quella tedesca. Quali benefici possono derivare dal trasferimento tecnologico e da politiche industriali congiunte? Possiamo fare convergere la politica industriale nei due paesi? Ci sono segnali positivi per costruire questo percorso.
E’ per esempio evidente dall’action plan presentato dal ministero dello Sviluppo economico e dalle attività della commissione delle Attività produttive della Camera, i quali riconoscono in Industria 4.0, iniziativa per la digitalizzazione del manifatturiero nata nel 2011 dal governo tedesco, uno strumento fondamentale per ridare competitività all’apparato produttivo italiano. E il governo italiano sta lavorando per dare sostegno sistemico e infrastrutturale alle tante imprese che si stanno oggi muovendo in tale direzione e innovando in Italia. Non solo le grandi, ma anche le Pmi, come la Piusi, con sede a Suzzara, che ha automatizzato la produzione di pompe per il trasferimento dei liquidi. “Qui da noi i robot lavorano 24 ore su 24. Sono la precondizione del nostro successo – spiega Otto Varini, figlio del fondatore e attuale presidente – L’automazione non ruba il lavoro.
Anzi, è il presupposto per resistere, per avere un futuro davanti”. Ma il tempo corre veloce, e nessuno aspetta, neppure la Germania. Sebbene il governo tedesco stia provando in ogni modo a costruire una partnership con l’Italia su Industria 4.0, e che abbia un suo rappresentante, Günther Oettinger, come attuale commissario Ue per la digitalizzazione, sta contemporaneamente sviluppando un progetto di cooperazione con la Cina per rendere sinergico il proprio programma “Industrie 4.0” con quello cinese “Made in China 2025”. Il tema è nell’agenda dell’incontro di Angela Merkel con Li Keqiang questa settimana a Pechino. Non possiamo esitare: non deve farlo l’Italia, non deve farlo la Germania. Costruiamo insieme l’Europa.
Josef Nierling è ad di Porsche Consulting
tra debito e crescita