Europa vs. Eurasia
Renzi va alla campagna di Russia. Ma Obama e Merkel restano coperti
Roma. “Capitalizzare sulla nuova realtà economica globale” è il titolo del Forum economico internazionale di San Pietroburgo che si apre oggi e termina domenica. Un appuntamento che il presidente russo, Vladimir Putin, ha presentato come momento di riflessione su “un’economia globale sempre più influenzata da fattori politici e sociali”, che più prosaicamente offrirà occasioni di collaborazione e affari alle circa 10 mila imprese presenti, e che si presta a varie interpretazioni geopolitiche. Così, mentre il presidente del Consiglio Matteo Renzi guiderà tra oggi e domenica una sorta di “campagna di Russia” con truppe provenienti dalla politica, dalle istituzioni e dall’economia, dalla Germania arriveranno a San Pietroburgo soltanto i protagonisti del business e nessun politico di rilievo. Ancora più distanti gli Stati Uniti: il dipartimento di Stato ha fatto sapere che “nessun rappresentante istituzionale americano, a nessun livello, parteciperà al Forum”; le stesse aziende private a stelle e strisce non saranno presenti con le proprie prime file.
L’Italia dunque avrà un ruolo piuttosto centrale, per volontà di Mosca e anche di Roma. La Russia ha infatti scelto l’Italia come “paese ospite”. Una dizione tutt’altro che formale. Non solo perché nello spazio di millecinquecento metri quadrati messo su e curato dall’Associazione Conoscere Eurasia e dall’ambasciata italiana, in mezzo a rievocazioni rinascimentali, si incontreranno piccole e medie imprese dei due paesi. Sempre lì, infatti, il presidente del Consiglio Matteo Renzi – unico questa volta tra tutti i leader dell’Europa occidentale, anche se in compagnia del presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker – incontrerà Putin, con il leader russo che già durante il lancio del Forum ci aveva tenuto a sottolineare la presenza di “delegazioni ufficiali dalla Russia, dal Kazakistan, dall’Italia e da altri paesi”. Dal Vecchio continente arriveranno due soli ministri in carica, e anche qui il tricolore domina: uno dei due infatti è Carlo Calenda, fresco di nomina al dicastero dello Sviluppo e con un passato in Confindustria, l’altro è Péter Szijjarto, ministro degli Affari esteri della più piccola Ungheria di Viktor Orbán. A dimostrazione che il nostro paese ha voluto segnare una presenza istituzionale significativa, tra i partecipanti ci sono anche Raffaele Squitieri (magistrato e presidente della Corte dei Conti, che parteciperà a una discussione sul bilancio pubblico come strumento di politica economica) e Riccardo Valentini (già eletto alla regione Lazio con Nicola Zingaretti ma soprattutto Nobel per la Pace nel 2007 per il suo impegno sul cambiamento climatico).
La relazione speciale tra Roma e Mosca ha ovviamente il suo pendant economico. Nella mattina di domani interverranno i big delle aziende partecipate dal Tesoro: Claudio Descalzi, amministratore delegato dell’Eni; Patrizia Grieco, presidente dell’Enel; Mauro Moretti, amministratore delegato di Finmeccanica. Accanto a loro, ci saranno i numeri uno di Barilla, Cremonini, Pirelli e altri ancora, specie dai settori della meccanica e dell’alta tecnologia, dell’energia, dell’agroalimentare e delle infrastrutture. Rapporti bilaterali a tutto tondo, insomma, settore bancario incluso: a San Pietroburgo interverrà infatti il presidente emerito di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli, con la prima banca italiana particolarmente attiva in loco, visto che Antonio Fallico è allo stesso tempo a capo della branca russa dell’istituto di credito e presidente dell’Associazione Conoscere Eurasia. Proprio quest’associazione, ieri, ha fatto il punto sull’andamento delle relazioni tra i due paesi: dal 2000 al 2013 l’interscambio italo-russo è cresciuto del 185 per cento, con l’export italiano che nel 2013 raggiunse il valore record di 10,7 miliardi di euro. Poi però sono arrivate la crisi economica, quella del rublo e le sanzioni. Tutte insieme.
Secondo l’Associazione Conoscere Eurasia, nel biennio 2014-’15, “gli scambi tra Italia e Russia sono calati del 31 per cento, per una perdita di 9,6 miliardi di euro, con l’export made in Italy che ha segnato un meno 34 per cento e una contrazione del valore di 3,6 miliardi dal 2015 sul 2013. A risentire della crisi sono stati soprattutto i settori delle tecnologie sofisticate applicate al comparto Oil&Gas, il settore bancario e creditizio che non può erogare linee di credito oltre i 30 giorni e solo in seconda battuta i prodotti agroalimentari oggetto di sanzioni, i prodotti tessili, di abbigliamento e pelle, gli apparecchi elettrici ed elettronici, macchinari meccanici e mezzi di trasporto”.
Già in passato Washington ha fatto trapelare la sua insofferenza rispetto a un’eccessiva drammatizzazione che in Italia ci sarebbe a proposito degli effetti negativi connessi alle sanzioni. L’Unione europea impose a Mosca queste sanzioni nell’estate 2014, immediatamente dopo l’abbattimento del volo di linea MH17 che segnò il momento più acuto della crisi ucraina; seguirono le contro sanzioni russe. L’attivismo odierno del mondo imprenditoriale italiano non deve però far dimenticare che i concorrenti che vengono dai principali paesi europei sono comunque presenti in forze e da più tempo in Russia. Proprio ieri, per esempio, la tedesca Daimler ha confermato di essere in trattative con le autorità di Mosca per costruire nel paese la prima fabbrica di automobili; Daimler è anche la prima Casa automotive a essere sbarcata nel paese dopo il crollo dell’Unione sovietica, oltre che l’unico sponsor ufficiale del Forum di San Pietroburgo di origini non locali, grazie al suo marchio Mercedes-Benz.
Il superamento delle sanzioni, secondo alcuni osservatori, potrebbe essere decisivo dunque per far recuperare terreno al made in Italy. Renzi, prima di partire, ha detto di voler “alimentare il dialogo, e non lo scontro come altri nostri partner Ue vorrebbero fare”. Sulla stessa linea, osservava ieri la Stampa, c’è il presidente della Repubblica Sergio Mattarella che, in visita in Romania due giorni fa, ha consigliato di evitare “iniziative che possano alimentare le tensioni”, e che comunque “se queste sanzioni verranno confermate continueremo ad applicarle”.
In Europa sembra replicarsi uno schema conflittuale già visto all’opera sei mesi fa. Alla fine del 2015, infatti, Renzi avviò una fase di aperta dialettica diplomatica con i partner europei, Germania in testa, nel tentativo di ricucire le relazioni con la Russia. “Non siamo passanti e quindi chiederemo ai nostri alleati come stanno andando”, aveva detto allora Renzi a proposito del rinnovo delle sanzioni a Mosca. In quei giorni il governo italiano fece capire di non apprezzare una sorta di doppio gioco tedesco: Angela Merkel era durissima contro Putin, e intanto però avallava accordi generosi per le imprese di Berlino (come il gasdotto NordStream2). Sul punto Renzi ottenne una vittoria d’immagine, poi però non appose nessun veto alle nuove sanzioni. Allo stesso tempo Merkel rimase ferma sul suo “nein” alla garanzia comune sui depositi e quindi al completamento dell’Unione bancaria. Sei mesi dopo, ci risiamo. Da una parte Renzi si propone come mediatore avanzato con Putin, a costo di smarcarsi momentaneamente da Berlino e Washington, con esiti al momento incerti. Dall’altra, all’Ecofin in programma domani a Bruxelles, si discuterà nuovamente di Unione bancaria. Ieri la Faz scriveva che il ministro tedesco delle Finanze, Wolfgang Schäuble, sarebbe piuttosto fiducioso di un fatto: un via libera alla garanzia comune può essere deciso sono con l’unanimità dei paesi membri. Roma già ragiona su come evitare un nuovo doppio stop, sul fronte russo e su quello bancario, uno stop economico oltre che diplomatico.