Mario Draghi, presidente della Bce (foto LaPresse)

I banchieri centrali, per riuscire, devono “tirare dritto come Maradona”

Ugo Bertone
Brexit, volatilità, inflazione pigra. Le politiche di Bce, BoJ e Fed sono al limite? Forse, ma devono continuare

I banchieri centrali stanno facendo lo slalom tra Brexit, mercati preda della volatilità e deflazione ma non possono restare fermi. L’Eurozona, ha detto ieri Mario Draghi, rischia un “alto prezzo per l’inazione”. Allora è meglio fare come Maradona, secondo il consiglio offerto da Mervyn King, ex governatore della Bank of England, ai suoi colleghi banchieri. L’asso argentino, ai Mondiali del 1986, segnò un memorabile gol all’Inghilterra partendo dalla propria metà campo, correndo in linea quasi retta verso la porta avversaria superando cinque avversari. Come? Il campione sfruttò a dovere le aspettative degli avversari, convinti che, prima o poi, si sarebbe spostato a destra o a sinistra invece di avanzare senza deviazioni verso la porta. Tira dritto per la tua strada senza badare alle reazioni altrui. La regola, per anni, ha funzionato. Anche troppo bene, visti i risultati: il mondo è oggi caratterizzato da una miscela di interessi bassi e di inflazione che tende allo zero, risultato delle scelte dei banchieri centrali reso possibile dal consenso accumulato dalla categoria. Consenso che oggi è messo a dura prova dalle contestazioni da destra e da sinistra. La politica del denaro facile sta suscitando resistenze inedite, prima impensabili.

 

In Giappone si è ribellata una delle banche più potenti, la Mitsubishi Ufj, che ha ventilato la possibilità di ritirarsi dal club delle 22 istituzioni che contribuiscono con la Banca centrale a fissare il prezzo d’offerta dei titoli. Un ruolo poco più che formale, visto che la Boj è in pratica l’unico compratore delle emissioni statali di Tokyo, ma dall’enorme impatto psicologico. Per la prima volta viene incrinato l’asse tra banche, enti previdenziali e gestione della finanza pubblica su cui poggia il delicato equilibrio del Sol levante, su cui incombe il debito più grande del mondo in rapporto al pil. Per la politica votata alla ripresa del primo ministro Shinzo Abe, l’Abenomics, è comunque un colpo non secondario.

 

L’opposizione alla politica dei tassi bassi trova ampia rispondenza nel cuore dell’Eurozona, dove sta maturando un’iniziativa clamorosa: Commerzbank, una delle maggiori banche tedesche, sta esaminando secondo Reuters, la possibilità di stoccare miliardi di euro in caveau invece di pagare una penale per parcheggiarli alla Banca centrale europea, che appunto applica sui depositi tassi negativi. L’ipotesi di costruire depositi alla Paperon de’ Paperoni, per di più attribuita a una banca partecipata dal governo tedesco, rappresenta per ora la protesta più clamorosa contro i tassi ultra bassi della Bce. Ma le opposizioni, rileva Mario Draghi, non possono nemmeno scalfire la determinazione della Bce nella madre di tutte le battaglie, quella contro la deflazione. In questa chiave, sottolinea mister Euro, i tassi bassi sono necessari perché rappresentano la terapia contro la crisi. L’unica, almeno per ora. “Ci troviamo di fronte a una scelta – ha detto ieri Draghi parlando a Monaco di Baviera – tra lasciare le cose come stanno e andare avanti. E questa non è una scelta senza costi. Abbiamo visto che il prezzo dell’inazione è alto” perché “lascia l’economia vulnerabile all’instabilità”.

 

Non vanno meglio le cose negli Stati Uniti. La Federal reserve da mesi alterna promesse di nuovi, seppur minimi rialzi dei tassi a sostegno del sistema bancario a repentine docce fredde. Nell’ultima riunione ha rivisto al ribasso le previsioni sul costo del denaro: nel 2016 ci saranno due soli aumenti (contro i quattro stimati a gennaio), ma la maggior parte degli osservatori non crede che si possa andare oltre una sola, poco più simbolica, mossa al rialzo. Non pare un dramma, soprattutto agli occhi di un europeo: il tasso di disoccupazione è ai minimi, il pil cresce, non di molto ma assai di più di buona parte della vecchia Europa. “Anche in Giappone – ribatte l’ex segretario al Tesoro Lawrence Summers – il tasso di disoccupazione è basso. Ma il problema è un altro: il paese non riesce a far risalire l’inflazione e, di riflesso, a contenere l’esplosione del debito.

 

Nel caso di una recessione, che prima o poi arriverà, il mondo rischia di non avere armi adatte per contrastare la crisi”. E’ inevitabile, tuona l’ex rettore di Harvard, che si debba studiare qualcosa di nuovo, non escluso l’helicopter money – opzione osteggiata in Europa dalla Bundesbank ma che ieri un gruppo di 18 europarlamentari dei Social & Democrats e Verdi ha chiesto a Draghi di prendere in seria considerazione – o altre formule meno indigeste per i creditori: l’emissione di un maxi bond a tasso zero da collocare presso gl investitori istituzionali. Andrà così? Forse no, anche se nei laboratori delle Banche centrali certe ipotesi sono qualcosa di più di una semplice teoria. Si profila così la fine della stagione inaugurata nel 1951 quando, nel secondo Dopoguerra, superati gli squilibri creati dalla guerra e riportato il debito pubblico a proporzioni accettabili, il Tesoro americano e la Fed firmarono un’intesa per cui la Banca centrale non avrebbe mai più finanziato direttamente il Tesoro. Questa separazione fu poi adottata in tutti i paesi industrializzati e oggi è la regola. Oramai a rischio, però: tra inflazione che non sale e titoli sovrani che scendono, urge trovare nuove rotte.