La Brexit strategy italiana
Investiamo sulle nostre imprese coi risparmi. Con una nuova alleanza
Condivido l’opinione di chi dice che la Brexit potrebbe essere una buona opportunità perché l’Italia non ha saputo affrontare il tema della ripresa. Non ha fatto quasi nulla di tosto per reagire. In realtà è anche comprensibile visto che ci sono stati tre governi imposti dal presidente della Repubblica e i primi due sono stati fallimentari non per le persone ma per il risultato. Le cose sono andate sempre peggio. Perché la Brexit è una buona occasione? Perché all’interno dell’Europa ci sono aree economiche, leggi la solita Germania, che hanno imposto un’exit strategy dalla crisi centrata completamente sui propri vantaggi. E’ anche comprensibile: la Germania è metà dell’Europa. Adesso nazioni meno forti come l’Italia, la Spagna e anche la Francia – che nella situazione in cui si trova dovrebbe allearsi a noi, i più deboli, piuttosto che con la Germania, questo sarebbe il più grande errore della sua vita – dovrebbero fare massa critica per avere una forza di discussione sufficientemente valorizzabile che faccia pesare sul tavolo europeo pil e popolazione. Per poi rivedere i parametri di Maastricht in modo temporaneo, definito e contingente per fare uscire i paesi più deboli dalla crisi in cui si trovano.
La Brexit dovrebbe rendere più disponibile la Germania a capirlo sebbene serva forse un braccio di ferro. I punti più importanti sono fare in modo che la Germania smetta di dire ‘no’ ai cosiddetti aiuti di stato in modo che l’Italia possa fare investimenti per rilanciare l’economia. Il crollo delle banche, di carattere speculativo, fa si che le banche italiane hanno bisogno di capitali. Ho sentito parlare di qualche decina di miliardi di euro – sappiamo che non li abbiamo, e quindi serve una politica di crescita affinché i capitali arrivino anche da fuori. Dovremmo potere fare la bad bank e risolvere il problema dei crediti incagliati. Con una certa disponibilità (post-Brexit) della Signora Merkel a comprendere la situazione drammatica in cui si trova l’Europa, l’Italia può ripartire rapidamente: le banche erogano prestiti, le imprese producono, aumenta il reddito, si pagano le tasse, e l’economia cresce. Ma bisogna tagliare il nodo gordiano nel punto dove nasce. Abbiamo delocalizzato negli anni passati e se non abbiamo tecnologia probabilmente dovremo importarla. Per questo, a livello interno al paese, dovremmo intervenire su quelle cinquantamila imprese di medie dimensioni – un numero simbolico – che tutti ci invidiano ma che sono piccole perché sono sottocapitalizzate. In Italia più che il credit crunch abbiamo un equity crunch.
Abbiamo sul tavolo tante imprese straordinarie che valgono più o meno il 40-45 per cento del pil industriale che esportano e ci dimostra che sono imprese sane e competitive. Mentre il 60 per cento delle imprese italiane lavora sul mercato domestico che oggi è stazionario e consuma poco. Dobbiamo rafforzare le imprese che sono già brave e dobbiamo ricapitalizzarle perché per ora da sole non lo possono fare. E un modo ci sarebbe. Siamo un paese con un livello straordinario di risparmio privato – valeva nel 2013 circa 5 volte il debito pubblico, la media europea è due volte e mezzo – che i tedeschi sognano di usare per abbattere il debito. Questo sarebbe l’errore più grande. Dobbiamo quindi convogliare il risparmio verso le imprese trainanti dell’economia: significa sostenere la crescita, diminuire indirettamente il debito pubblico, e valorizzare il risparmio italiano che va tutelato, protetto e difeso (altrimenti migra altrove e crea ricchezza in altri paesi). Il modello potrebbe essere un’emissione obbligazionaria di stato convertibile in azioni, attraverso lo strumento della Cassa depositi e prestiti, che viene sottoscritto con una parte del risparmio liquido privato che in questo momento riceve invece attenzioni solo perché possibile oggetto di una patrimoniale. Raccogliere questi soldi attraverso un prestito obbligazionario convertibile a supporto delle imprese produttive è simile al meccanismo dei prestiti di guerra, perché in fondo siamo in una guerra di mercato. E’ questo a mio avviso l’unico modo per salvare il paese e salvare il risparmio che altrimenti verrà distrutto.
Ettore Gotti Tedeschi è l'ex presidente dello Ior
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