Il Credito è il nuovo Spread
Più stato nelle banche inferme. Così in Europa si impone la linea Draghi
Roma. La Commissione europea ha dato ieri all’Italia l’assenso a usare garanzie pubbliche e di liquidità “per le banche solventi”, rispondendo a una richiesta del governo di Roma “avanzata per motivi precauzionali e senza l’aspettativa di farvi ricorso”. Notizia arrivata a mercati quasi chiusi, che ha ovviamente rianimato il settore bancario, e che riporta nei binari giusti la diatriba della vigilia tra Angela Merkel e Matteo Renzi. Germania-Italia è sempre questione ad alto impatto mediatico, figuriamoci se cade alla vigilia dei quarti di finale degli Europei, e con populismi e vuoti di memoria in agguato. Ma come si vede questa non è una partita dentro-fuori, e l’Italia può far valere le proprie ragioni, a condizione di tessere con Bruxelles e Berlino una magari oscura tela di centrocampo, come si è visto in due precedenti: la flessibilità di bilancio (opera di Pier Carlo Padoan) e il “migration compact”, il primo piano concreto di condivisione di pesi e costi dei clandestini (opera di Carlo Calenda nei due mesi da ambasciatore all’Ue, prima di tornare come ministro dello Sviluppo economico). Lo spazio concesso dalla Commissione è quello previsto all’art. 32 della direttiva sul bail-in (salvataggi bancari a carico di azionisti e obbligazionisti): gli stati possono intervenire “al fine di evitare gravi perturbazioni all’economia” a condizione che l’intervento sia di “carattere temporaneo” , “non distorca la concorrenza” e si concentri su banche “non in dissesto” (vedere il Foglio del 28 giugno). Non è insomma l’iperbolica moratoria sul bail-in che l’Italia invocava ma un pertugio concesso dalle regole. Bisogna anche tenere presente che oltre alla Germania e all’Italia, con la Francia ondivaga as usual, c’è un terzo protagonista che si chiama Mario Draghi. Il presidente della Bce intervenendo al Consiglio europeo post Brexit ha detto: “E’ ora di risolvere i problemi delle banche. Non possiamo permetterci di non farlo”. Draghi ha dimostrato di non parlare a caso, il peso delle sue parole ha anzi precorso e amplificato quello delle azioni. Dunque se chiede di risolvere i problemi delle banche, significa che i problemi ci sono. E non riguardano solo l’Italia, come vedremo alla luce delle cifre aggiornate. Quindi è vero che quando la cancelliera dice che le regole non si cambiano ogni due anni, in parte ha ragione e in parte parla agli elettori che tra un anno eleggeranno il Bundestag e tra i quali la metà non avrebbe aiutato la Grecia, figuriamoci la Popolare di Vicenza. E’ vero che il mantra renziano sull’Italia “che rispetta le regole” nasconde anche la frustrazione di non poterle cambiare quelle regole. Sentimento non solo di Palazzo Chigi visto che per una moratoria del bail-in si era espressa la Banca d’Italia, mentre il governo non ha ancora portato a casa né la bad bank per ripulire gli asset deteriorati, né l’assicurazione comune sui depositi.
Ma che dire, per l’Italia, di alcune amnesie di alto livello? Fabrizio Saccomanni, ministro dell’Economia del governo di Enrico Letta, a domanda sul perché l’esecutivo del cacciavite abbia sottoscritto nel 2013 la direttiva europea del bail-in (ratificata dal Parlamento nel 2015) risponde che “allora la priorità era lo spread, le banche non stavano così male, non avevano tante sofferenze”. Stiamo parlando non solo di un ex ministro-chiave ma anche dell’ex direttore generale della Banca d’Italia. Per non parlare di Romano Prodi, onnipresente oggi nel denunciare il calo di credibilità delle istituzioni Ue: potrebbe pur ricordare di aver presieduto la Commissione di Bruxelles tra il 1999 e il 2004, proprio con l’appoggio degli inglesi che lo avevano soprannominato “Mr. Clean”, e che poi lo accusarono di inconsistenza e di non farsi neppure comprendere. Ma questo è il passato (che a volte ritorna). Più che le iperboli catastrofiste serve un sano lobbying europeo, e magari un po’ di coesione, tipo quella che c’è da sempre tra popolari e socialdemocratici tedeschi nella difesa delle loro banche. Ma soprattutto è bene avere come base i numeri. Una recente elaborazione di Prometeia su dati della Bce conferma che l’Italia è in coda per aiuti pubblici dati in Europa alle banche – con gli interessi ha anzi incassato un miliardo, rispetto ai 234 erogati dalla Germania (8 per cento del pil), ai 104 della Gran Bretagna (4,6 per cento), ai 31 miliardi dell’Irlanda pari al 59 per cento della ricchezza nazionale. Però le banche italiane sono quarte, dopo le irlandesi, greche e spagnole (che hanno beneficiato tutte degli aiuti Ue) per perdite cumulate tra il 2008 e il 2014, di 52 miliardi. Dietro di noi le banche tedesche con 36 miliardi. Quanto ai crediti deteriorati netti, rappresentano il 10 per cento del patrimonio, terze le banche italiane dopo Irlanda e Portogallo.
L’Italia se la cava per le coperture patrimoniali di questi crediti a rischio, salite al 45 per cento, dietro Austria e Francia (la Grecia non fa testo): dieci punti meglio della Germania e della Gran Bretagna. Questa situazione, stando ai dati della Bce, non si è affatto prodotta degli ultimi 24 mesi: i crediti deteriorati non coperti da garanzie sono oggi 84 miliardi: nel 2013 erano 80,4. Lo stesso documento dimostra che con un’azione rapida l’effetto moltiplicatore tra garanzie e recuperi degli asset deteriorati potrebbe consentire un’uscita dalla crisi già in 4-6 anni. Purché appunto ci si muova: le banche sono il nostro nuovo spread. Parallelamente dal Fondo monetario internazionale è arrivata una forte bocciatura alle banche tedesche, strette tra i bassi tassi d’interesse e la tendenza a compensare i minori introiti con operazioni in derivati. Il che, secondo il Fmi, impedisce tra l’altro di finanziare gli investimenti che in Germania continuano a latitare. L’indice è puntato soprattutto contro la Deutsche Bank, definita “maggior fonte al mondo di rischio sistemico”. Nessuno è perfetto. E anche per questo la trattativa è possibile anche per l’Italia, lasciando perdere la demagogia almeno questa volta.