Matteo Renzi al meeting UE

Idee per Renzi da sussurrare a Bruxelles per curare banche e pil

Carlo Milani
Le sorti del Monte dei Paschi di Siena sono tornate al centro della ribalta. Dopo aver immesso, negli ultimi anni, capitale fresco fino a 8 miliardi di euro, Mps è tutt’altro che fuori pericolo.

Le sorti del Monte dei Paschi di Siena sono tornate al centro della ribalta. Dopo aver immesso, negli ultimi anni, capitale fresco fino a 8 miliardi di euro, Mps è tutt’altro che fuori pericolo. Le vicende legate alla Brexit, e la conseguente incertezza che ha spinto gli investitori a evitare le attività più rischiose, hanno dato un colpo di frusta a Mps e all’intero sistema bancario italiano (ieri Piazza Affari ha di nuovo fatto peggio di tutte le Borse europee, chiudendo a meno 1,15 per cento). Aver negato per tanti anni che in Italia ci fosse una questione legata alla cattiva qualità del credito, e a una contestuale inadeguata dotazione di capitale, ha determinato l’ingigantirsi del problema fino al punto da renderlo di portata sistemica. Se si fosse seguito senza indugio l’esempio di Irlanda e Spagna, attivando quattro anni fa una bad bank di sistema, l’industria bancaria domestica oggi sarebbe molto più in salute, con benefici per l’economia reale.

 

Purtroppo i banchieri italiani, e il governo di allora, sostenevano la tesi che le banche italiane erano le più solide d’Europa e ammettere l’esigenza di una bad bank sarebbe stato un colpo all’orgoglio e al portafoglio degli azionisti (Fondazioni bancarie in testa). La serietà del problema si può constatare da un semplice indicatore, il Texas ratio, che esprime il rapporto tra l’ammontare dei crediti dubbi, di qualità più o meno bassa, e capitale e fondi accantonati a fronte del rischio di perdite sui crediti. Questo indicatore ci segnala se le risorse proprie della banca sono in grado di coprire i potenziali ammanchi legati al mancato recupero dei crediti erogati a famiglie e imprese. Il settore bancario italiano ha visto passare questo indice, dal 2007 al 2014, dal 27 al 92 per cento, avvicinandosi quindi pericolosamente alla soglia del 100 per cento, ampiamente superata proprio da Mps (oltre 140 per cento nel 2015).

 

In Francia e Germania il Texas ratio è invece pari al 21 per cento, in Spagna al 44, nel complesso dell’Eurozona al 42 per cento. Che fare a questo punto? Il primo intervento da attuare è senza dubbio evitare l’avvitarsi della crisi di Mps e l’effetto domino che potrebbe avere, in questo quadro post-Brexit, anche su altre banche, in primis Unicredit, ma potenzialmente anche su Deutsche Bank. Le regole sul bail-in, in presenza di rischio sistemico, offrono margini di manovra per evitare che una loro rigida applicazione determini instabilità finanziaria per il paese coinvolto, e per l’intera Unione, ma a dare il via libera deve essere la Commissione europea. Certo la polemica degli ultimi mesi, dopo il crac dei quattro piccoli istituti di credito, e le successive critiche di Abi, Banca d’Italia e governo piovute sul bail-in, meccanismo capace invece di prevenire un’eccessiva assunzione di rischi da parte dei banchieri, non aiutano.

 

Addurre ora il potenziale rischio d’instabilità finanziaria, per ottenere i margini di flessibilità previste dalle norme sul bail-in, appare agli occhi della Commissione, e ancor più dei tedeschi, a dir poco sospetto. Il rischio è che dalle trattative in corso emerga un nuovo accordo al ribasso, come quello sottoscritto sulla garanzia per la cartolarizzazione dei crediti in sofferenza (Gacs). Il governo italiano dovrebbe invece proporre alla Commissione un piano di interventi più radicali, che passi in primo luogo verso il riconoscimento di un altro fondamentale problema dell’industria bancaria italiana, ovvero l’eccessiva esposizione ai titoli di stato. Mettendo sul piatto la disponibilità ad affrontare questo dossier potrebbero aprirsi alcune opportunità. Dal negoziato si potrebbe strappare la possibilità di ricapitalizzare il Fondo Atlante, al fine di acquistare a prezzi di mercato le sofferenze bancarie. Contemporaneamente si potrebbe ottenere il via libera a intervenire, temporaneamente, nel passivo delle principali banche per rimettere in sicurezza il comparto, individuando anche una nuova classe di manager, lontani dalla politica e dalle Fondazioni, che riporti efficienza nella gestione.

 

Carlo Milani, Economista, direttore di BEM Research