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E se la Brexit stesse diventando una manna per il libero scambio?

Giancarlo Salemi
Chi lo ha detto che la Brexit sia solo una sciagura per le imprese britanniche? Sganciatasi dalla burocrazia per certi versi davvero elefantiaca di Bruxelles, il nuovo governo di Theresa May è già all'opera per fare ciò che l'Unione Europea non riesce a concludere.

Chi lo ha detto che la Brexit sia solo una sciagura per le imprese britanniche? Sganciatasi dalla burocrazia per certi versi davvero elefantiaca di Bruxelles, il nuovo governo di Theresa May è già all'opera per fare ciò che l'Unione Europea non riesce - nonostante le buone intenzioni - a concludere: accordi di libero scambio a dazi zero, su prodotti e investimenti. Liam Fox, ministro del Commercio Internazionale britannico, che da giorni tesse la tela con i governi di Australia e Canada, ha grandi piani in testa ed è pronto a spiegarlo anche agli americani nella sua missione a Washington prevista per la prossima settimana: Londra è destinata a diventare una sorta di free trade zone nel vecchio continente a beneficio, ovviamente, delle proprie aziende. Nessun isolazionismo, nessuna autarchia. Al contrario il governo inglese vuole ritornare ad essere protagonista del commercio internazionale. Insomma, senza i vincoli di 27 parlamenti e altrettanti governi, oggi l'Inghilterra è di fatto molto più flessibile e può giocare il ruolo di unico player nel tavolo dei negoziati. Accordi bilaterali che invece L'Unione Europea fatica a portare a termine così come quelli multilaterali, basta pensare al Doha Round lanciato nel 2001 dopo gli attentati alle Torri Gemelle ma, di fatto, fermo nelle stanze di Ginevra dell'Organizzazione Mondiale del Commercio da oltre un quindicennio.

 

Basta guardare a cosa è successo in Europa con il CETA, l'accordo di libero scambio con il Canada, considerato una prova generale del TTIP (il trattato transatlantico tra Ue e Stati Uniti) che dopo sette anni di estenuanti negoziati tra Bruxelles e Ottawa non riesce ancora a vedere la luce soprattutto per l'opposizione tedesca ad una ratifica da parte solo della Commissione (che sarebbe anche l'unica delegata in ambito commerciale). Così dopo l'ennesima mediazione del Commissario al Commercio Cecilia Malmström si è arrivati alla proposta-pasticcio di una soluzione "mista" con il coinvolgimento dei parlamenti nazionali su alcune parti del trattato. Insomma, un impasse burocratico da cui non si sa bene come uscirne, avendo come orizzonte il vertice di ottobre tra Ue-Canada che inizialmente doveva proprio sancire il via dell'accordo dal prossimo 1 gennaio. Eh si che le aziende europee desideravano questo accordo che dal suo primo giorno di applicazione vedeva come effetto immediato l'azzeramento di quasi tutti i dazi commerciali, facendo risparmiare agli esportatori europei circa 500 milioni di euro l’anno. Un accordo che permetterebbe inoltre alle imprese dell’Unione di partecipare agli appalti pubblici in Canada a tutti i livelli di governo, anche nelle province, che rappresentano una parte cospicua della spesa pubblica in Canada.

 

Quello che resta sospeso e incerto per l'Unione, diventa invece fattibile per Londra. A rivelare il canale preferenziale è stata la ministra per il Commercio canadese Chrystia Freeland in un'intervista concessa alla BBC: "Certo che è possibile - ha detto - anzi auspicabile un accordo di libero scambio con Londra e potremmo lavorarci nel lasso di tempo che porterà l'Inghilterra fuori dall'Unione", ovvero circa due anni perché la data su cui sta lavorando il ministro inglese Fox è quella del 1 gennaio del 2019.

 

Non solo. Questi due anni di transizione verrebbero sfruttati per stringere accordi commerciali a dazi zero anche con altre superpotenze. A bussare alla porta di Londra infatti è stato anche il nuovo primo ministro dell'Australia, Malcolm Turnbull, dopo un colloquio telefonico avuto con la collega britannica Theresa May. Insomma Londra non è affatto fuori dai giochi. Al contrario scenari interessanti si aprono per le aziende londinesi che potrebbero beneficiare di vie preferenziali che potrebbero andare ben oltre agli accordi in fase di negoziazione con Canada e Australia. L'euroscettico Fox ha infatti costituito nel suo dicastero un nucleo operativo di circa 200 funzionari inglesi che si dedicheranno solo a questo, valutando "una decina di accordi di libero scambio fuori dall'Unione Europea per rimettere al centro dei negoziati Londra e le sue aziende". E la Brexit da sciagura commerciale potrebbe trasformarsi in un eldorado come ha detto Fox "per quei tanti paesi che stanno bussando alle porte dell'Inghilterra,  quinta potenza economica mondiale, senza dover per forza trattare con la Ue''.