Metodo Bollorè. Vivendi tenta la “scalata surrettizia” a Mediaset
Milano. Et voilà monsieur Bollorè con il suo tocco inconfondibile. Ha fatto così in Lazard alla fine degli anni ’90, in Mediobanca, in Vivendi, in Telecom Italia e adesso tocca a Mediaset. Il finanziere bretone entra sempre in punta di piedi, poi cresce finché un bel giorno si presenta: “Eccomi qua, sono il nuovo azionista di riferimento”. Se scopre che non può comandare, molla tutto. Arnaud de Puyfontaine, amministratore delegato di Vivendi, giura e spergiura che non è così: “Non c’è nessun piano per prendere il controllo di Mediaset”, ha ribadito ieri mattina durante un incontro con la stampa in un albergo milanese mentre tutte le agenzie battevano la nota infuriata di Mediaset e in Borsa il titolo del Biscione perdeva il 14 per cento.
Arnaud de Puyfontaine (foto LaPresse)
“Siamo allibiti: non onorare un contratto vincolante rappresenta un fatto sconcertante. A meno che si tratti di un disegno preordinato fin dall’inizio: altro che progetti industriali insieme, il vero obiettivo era prendersi Mediaset”, tuona Marco Giordani capo della Finanza nell’azienda di Cologno Monzese, minacciando una causa da un miliardo e mezzo che risolverebbe i problemi finanziari, anche se non quelli strategici. E proprio sulla strategia fanno leva i francesi i quali non hanno mai nascosto che l’acquisizione di Premium è il primo passo per una alleanza a tutto tondo (e perché no un vero matrimonio) tra i due gruppi editoriali. Una coppia che in realtà diventa un triangolo, un ménage a trois, con Telecom Italia che Vivendi controlla con il 24,7 per cento, e fa da testa di ponte nel mondo internet.
Ma come mai Puyfontaine in persona ha comunicato l’altro ieri ai vertici di Mediaset la nuova offerta: in cambio del 3,5 per cento di Vivendi il 20 per cento di Premium e il 15 per cento della casa madre in tre anni? La versione francese è che una volta passata al setaccio la pay tv si è capito che è in condizioni ben peggiori del previsto, con un rosso da 85 milioni di euro nel 2015 e da 63 milioni nel primo trimestre. Ecco perché Vivendi parla di “differenze significative” sulle quali sono in corso trattative. “Nessuna negoziazione – ribatte Mediaset – C’è un contratto firmato dalle parti l’8 aprile”, prevede uno scambio alla pari del 3,5 per cento e l’89 di Premium, ora viene violato dai francesi i quali ci hanno ripensato e da un bel po’, perché non hanno mai comunicato l’accordo all’antitrust europeo (circostanza che a Cologno Monzese hanno scoperto solo di recente).
I conti non sono tutto. Vivendi ha constatato che Premium è talmente intrecciata con Mediaset che è molto difficile fonderla con Canal Plus. Dunque, tanto vale rilanciare a monte, acquisendo una posizione di rilievo nella casa madre. Puyfontaine ha ribadito anche ieri mattina che la prospettiva strategica resta creare un grande gruppo europeo in grado di competere con i colossi americani. Vivendi è su quella strada, insieme a Mediaset il cammino si farebbe più rapido. Acquistando il 15 per cento il gruppo francese potrebbe bloccare Fininvest che mantiene il controllo con il 33,49. Una scalata “surrettizia” dicono gli uomini di Berlusconi e denunciano la scorrettezza. Pier Silvio in particolare è fuori dai gangheri: si considera preso per i fondelli per Premium che è la sua creatura e direttamente minacciato come azionista.
Tutti gli scenaristi che avevano illustrato con ricche pennellate l’entente cordiale tra Berlusconi e Bollorè (la Repubblica il 21 marzo scorso rivelava addirittura un piano comune per portare Mediaset sotto le insegne francesi) debbono cambiare tavolozza. Almeno per ora. Ieri pomeriggio Fedele Confalonieri viaggiava rabbuiato sul volo Alitalia per Roma. Giovedì si terrà il consiglio di amministrazione che darà la risposta ufficiale. L’umore del momento fa pensare a un secco no. Tuttavia ci sono ancora molti se e molti ma. Certo è che troppe cose sono cambiate in pochi mesi.
Puyfontaine ieri ha negato che in Italia lo stato d’animo nei confronti di Vivendi sia peggiorato. Ha ribadito che i rapporti con il governo sono ottimi, ha lodato Matteo Renzi e ha ipotizzato addirittura un’alleanza franco-italiana per bilanciare lo strapotere tedesco. In realtà, la strada s’è fatta in salita. Intanto c’è la variabile Xavier Niel che dopo aver agito da disturbo in Telecom ora lancia in proprio le sue offerte aggressive. E poi il macigno dell’Enel che ha soffiato Metroweb e realizza il piano banda larga per conto del governo con il sostegno fondamentale della Cassa depositi e prestiti. Renzi stesso con il passare dei mesi s’è fatto sospettoso. La scelta di Flavio Cattaneo come amministratore delegato di Telecom ha segnato una vera frattura, anche se si sta rivelando positiva per l’azienda.
Il primo semestre si chiude con un utile oltre il miliardo nonostante una riduzione dei ricavi di quasi dieci punti e un aumento dei debiti finanziari netti. Il risultato degli ultimi tre mesi è il migliore dal 2009. Economie fino all’osso, dunque, tra l’altro usciranno ben 170 dirigenti. Puyfontaine ha smentito di nuovo ogni ipotesi di accordo con Orange: “Non stiamo lavorando per loro”, ha detto. Anche la sorte di Telecom, però, è legata a quella “azione parallela” che Bollorè sta realizzando da par suo, prendendo tutti in contropiede.