La finanza francese disegna i rapporti di forza nelle telecomunicazioni
Roma. L’intreccio forte fra telecomunicazioni e politica è un fenomeno strutturale nelle economie moderne. Ma a differenza degli anni Novanta oggi in Italia la politica dà spesso l’impressione di essere subalterna alla finanza. Di questi tempi l’ex presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e l’attuale, Matteo Renzi, sono in armi contro il finanziere francese Vincent Bollorè per ragioni diverse. Con una decisione dirompente martedì il gruppo media Vivendi, controllato e presieduto da Bollorè, ha rifiutato di onorare gli accordi per l’acquisto totale della malconcia pay-tv Mediaset Premium, una zavorra, per tentare a sorpresa di diventare azionista della casa madre Mediaset e così influenzarne le strategie. Il gruppo televisivo fondato da Berlusconi l’ha definita polemicamente una “scalata surrettizia” minacciando azioni legali. La disputa tra gentiluomini difficilmente sarà cordiale.
Renzi, che aveva avuto l’appoggio di Berlusconi nei primi mesi del suo governo, non era certo in potere di evitare il tradimento di Bollorè. Tuttavia il premier non ha riservato un trattamento amichevole al finanziere francese che con Vivendi è anche primo azionista di Telecom Italia (24,9 per cento). In aprile il governo aveva fortemente irritato Telecom (Tim) assegnando a Enel, prima società elettrica di stato, il compito di costuire l’infrastruttura della rete a fibra ottica anche in zone già coperte dall’ex incumbent delle telecomunicazioni Tim. Vivendi ambisce a diventare un colosso della televisione e delle telecomunicazioni nell’Europa mediterranea. In quest’’ottica, Mediaset e Tim sono depositarie di business sinergici utili a creare una possente società di produzione e veicolazione di contenuti media attraverso la rete internet.
Dopo anni di torpore, il settore delle telecomunicazioni italiano è diventato interessante per gli investitori grazie allo stimolo dell’esecutivo di Renzi a sviluppare e rendere capillare una carente infrastruttura della banda ultralarga entro il 2020, l’obiettivo dell’“agenda digitale” europea. In un panorama movimentato il coup de théâtre di Bollorè non è l’unico arrivato da oltralpe. Il miliardario francese Xavier Niel di recente ha disinvestito da Tim, che ha chiuso il primo semestre 2016 con un utile da un miliardo – migliore risultato dal 2009. A inizio luglio, Niel ha iniziato a negoziare in esclusiva l’acquisto degli asset che la russa Vimpelcom (Wind) e la cinese Hutchison (3 Italia) dovranno cedere per ricevere dall’antitrust europeo l’approvazione a fondersi; la decisione è prevista a metà settembre. L’azione Niel, che controlla la francese Free e la svizzera Salt Mobile (ex Orange Swiss), mira a creare il quarto operatore di telefonia mobile in Italia (gli altri Tim, Vodafone, Wind-3).
Fastweb, società controllata dalla svizzera Swisscom, aveva fatto un’offerta per gli asset che Wind e 3 Italia devono cedere (incluse 8.000 antenne che coprono gran parte del territorio nazionale). Ma l’irruzione di Niel, il quale prometterebbe prezzi molto bassi agli abbonati – anche grazie al fatto che non prevede investimenti infrastrutturali – per incontrare i desiderata dell’Antistrust europeo che vigila sulle operazioni di concentrazione, ha suggerito a Fastweb di seguire una strategia alternativa.
E’ iniziato così il grande rimescolamento. Fastweb e Tim martedì hanno firmato un accordo per sviluppare insieme la rete in fibra ottica fino alle abitazioni (fiber to the home, ftth) in 29 città. Da parte sua Enel è invece in predicato di acquisire Metroweb, specializzata nell’infrastruttura ftth, da Cassa depositi e prestiti. Per Fastweb l’alleanza è importante per valorizzare alcuni investimenti cruciali fatti in sedici anni di attività. La rete Enel è infatti creata ex novo e passa dai cavi a media tensione e non dalle centraline già presenti in strada: è una rete parallela che gli operatori strutturati possono bypassare. Tim e Fastweb insieme raggiungono una quota di mercato nella banda larga, con relativi clienti, del 61,4 per cento. Un vantaggio rispetto a Enel che è alleata con Vodafone (13,3 per cento) e Wind (15,4). Un’altra battaglia è pronta per cominciare.