Il fallito golpe turco riapre la partita geopolitica dei gasdotti euroasiatici
Roma. Il fallito golpe turco riapre la partita geopolitica dei gasdotti euroasiatici e lo scontro energetico tra Stati Uniti e Russia, segnando da un lato il riavvio del progetto di tubo tra Mosca e Ankara (il TurkStream) e dall'altro spostando l'asse degli interessi energetici americani sulla Grecia. Ad Ankara non sono piaciute le presunte interferenze di Washington nell'architettare il colpo di stato delle scorse settimane, ecco perché, qualora i rapporti tra i due membri della Nato dovrebbero definitivamente incrinarsi, Erdogan potrebbe far scattare la ritorsione energetica, mettendo a repentaglio le forniture di gas verso l'Europa che passano sui gasdotti turchi come il Tanap (parte essenziale del Corridoio energetico sud che Bruxelles ha architettato insieme agli Usa per limitare la dipendenza dalle fonti russe).
Agli occhi di Washington, dunque, la Turchia sta diventando un hub energetico sempre più instabile. Non è un caso che nei giorni successivi al fallito colpo di stato, il braccio destro di Obama per la politica energetica, l'inviato speciale Usa Amos Hochstein, sia volato in Grecia per rafforzare le intese con il governo di Atene, quale nuovo perno della strategia energetica americana a seguito della guerra fredda scoppiata con la Turchia, riferiscono al Foglio fonti diplomatiche. "La Grecia può essere la porta di ingresso per il gas naturale in arrivo in Europa dagli Stati Uniti e dal Mediterraneo orientale, giocando un ruolo significativo nella sfida per la sicurezza energetica", ha detto Hochstein in un'intervista al quotidiano Kathimerini. L'inviato per gli affari energetici del dipartimento di stato non ha fatto diretto riferimento alla situazione turca, ma ha fatto intendere che gli Usa sono pronti a rifornire la Grecia e l'Europa con il proprio shale gas (gas di scisto) attraverso il potenziamento del terminal per il gas naturale liquefatto di Alessandropoli, nel nord della Grecia, che il segretario di Stato John Kerry ha già caldeggiato al premier Tsipras lo scorso novembre.
L'offensiva americana è favorita da due elementi. Il primo, quello geopolitico, è legato alla rottura dei rapporti di forza interni all'Opec (il cartello dei paesi produttori di greggio) e tra l'Opec e la Russia, che da mesi non riescono a raggiungere alcun accordo in merito all'aumento della produzione petrolifera.
Quest'impasse ha fatto sì che lo scorso luglio le riserve americane abbiano superato per la prima volta quelle dell'Arabia Saudita e della Russia, i maggiori esportatori di greggio al mondo. Il secondo riguarda il mercato. Le riserve americane di shale sono l'opzione a più basso costo per la futura produzione di greggio e probabilmente attireranno più investimenti di progetti legati a giacimenti in alto mare. Difatti, sostengono gli analisti, circa il 60 per cento della produzione petrolifera sostenibile da un punto di vista economico con prezzi del barile attorno ai 60 dollari è legata allo shale americano. Come sottolinea Simon Flowers, esperto di Wood Mackenzie, la spesa media per barile è diminuita del 30-40 per cento per i pozzi americani di shale e solo del 10-12 per cento per gli altri progetti, "ci sono più opportunità negli Stati Uniti ed è qui che si concentreranno gli investimenti", sostiene Flowers. Ecco dunque la necessità di accaparrarsi nuove fette di mercato come quella europea che tralaltro potrebbe presto essere minacciata dalle evoluzioni turche che stanno spingendo verso uno scenario "ucraino".
Erdogan potrebbe, infatti, utilizzare come arma politica nei confronti dell'Ue e degli Usa l'interruzione delle forniture sotto il proprio controllo, avendo alle spalle non una posizione di isolamento, bensì, parecchia agibilità, in forza del recente riavvicinamento con Israele - i due paesi si apprestano a varare un'alleanza energetica per sfruttare i giacimenti del bacino levantino del Mediterraneo benedetta anche dalle agenzie di rating come Moody's - e della ripresa dei negoziati con Mosca sul progetto di gasdotto del TurkStream, come comunicato oggi dal vice ministro dell'Energia russo, Yury Sentyurin.