La sede Unicredit in piazza Gae Aulenti, Milano (foto LaPresse)

Perché Unicredit (-9 per cento) è il nuovo osservato speciale dei mercati

Ugo Bertone
L’unica banca sistemica italiana zoppica agli stress test (sesta peggiore), gli analisti la puniscono e il titolo cede.

Milano. Sembrava una mattinata tranquilla, anzi positiva grazie al rialzo iniziale del titolo, fino al 3 per cento. Tutto sembrava procedere per il meglio, fino alle dieci di mattina. Poi, come gli elicotteri del tenente colonnello William Kilgore in “Apocalypse Now”, sui titoli Unicredit hanno cominciato a piovere a grappoli i siluri degli analisti con effetti devastanti per il titolo, fanalino di coda del settore bancario in Europa con un ribasso del 9,4 per cento, fin sulla soglia dei 2 euro: poco sopra i minimi di inizio luglio, prima della nomina ai vertici del ceo Jean Pierre Mustier. Tante pillole al napalm tipo quella sganciata da Christian Schulz di Citigroup: “Gli stress test dell’Eba – scrive – non hanno segnato un punto di svolta nella crisi, ma indicano solo un primo, timido progresso nella giusta direzione”. Troppo timido perché il piano Monte Paschi appare come una soluzione “limitata che non può valere per tutto il sistema”. Tanto meno per Unicredit relegata da Kepler Cheuvreux tra i perdenti degli stress test di Francoforte, al sesto peggior posto tra i 51 istituti esaminati. Simbolo delle sofferenze che incombono sulle banche italiane: ancora tante, più di 300 miliardi anche a volere dare per risolta la partita Mps grazie agli sforzi del fondo Atlante guidato da Alessandro Penati. Troppi, per un mercato che crede, con fondamento, che l’Italia non potrà permettersi il lusso di un eventuale Atlante 3 a sostegno di nuove aziende assediate da hedge fund e speculatori. Soprattutto se nel mirino c’è Unicredit, grande azionista e promotore di Atlante, nato proprio per evitare che l’aumento di capitale di Popolare Vicenza, improvvidamente garantito dai precedenti vertici dell’istituto, non travolgesse la banca.

 

E’ sull’onda dei giudizi degli analisti che Unicredit, l’unica banca sistemica italiana, è stata investita da una pioggia di vendite che nascono da una richiesta precisa: sono necessari almeno 5-6 miliardi, secondo il giudizio di Ubs, 8 addirittura secondo altri osservatori. E nessuno si illude che i conti del semestre, in uscita domani, possano fare sperare in profitti adeguati. Anche a tenere conto delle difficoltà che hanno investito la partecipazione più brillante, la turca Yapi Kredi, nel bel mezzo del tentato golpe turco. Occorrono quattrini freschi, insomma, merce rara di questi tempi soprattutto se, per dirla con Ubs, a consigliare la cautela è “la mancanza di visibilità sulla gamma di misure che il nuovo management della banca metterà in campo”. C’è da capire, insomma, di quali margini di manovra dispone Mustier rispetto alle fondazioni azioniste che ci hanno messo più di un mese prima di scegliere il successore di Federico Ghizzoni. Mustier, al contrario, si è mosso con grande velocità. Ha promosso un direttore generale di sua fiducia, Gianni Franco Papa, e liquidato senza troppi complimenti Paolo Fiorentino, un fedelissimo del potente vicepresidente Fabrizio Palenzona. Sul fronte del cash ha già raccolto più di un miliardo cedendo il 10 per cento di Bank Pekao e di Fineco, società che del resto contano non pochi estimatori. Ha finalmente sciolto il nodo di Pioneer, il colosso del risparmio gestito congelato per più di un anno in un fidanzamento infruttuoso e sfortunato con il Banco de Santander: Pioneer è un’altra società che potrebbe garantire un incasso ragguardevole con un’Ipo in tempi più propizi. Insomma, c’è da incassare fino a un paio di miliardi dalla quotazione.

 

Ma come fare per trovare gli altri quattrini? I possibili compratori scarseggiano, a meno di non rivolgersi ai private e ai fondi americani. Ma come conciliare, parlando di governance, la precaria egemonia delle fondazioni ex bancarie di casa nostra con azionisti esteri a caccia di maggiore redditività, del resto necessaria come l’ossigeno per le banche italiane. E che ne sarà del piccolo impero costruito ai tempi di Alessandro Profumo? Mustier dice di volere difendere l’architettura di quella che è, definizione sua, “una delle migliori banche in Europa”. Ma non sarà facile anche perché, dopo gli stress test, domani tocca alla semestrale attesa dalla speculazione con il fucile spianato. E non è finita: battono alle porte gli esami più difficili, quelli che la Banca dei regolamenti internazionali impone alle banche sistemiche cui vengono chieste garanzie più solide della media. Ecco perché, sostengono gli analisti, “la strada è sempre più in salita”.

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