La controffensiva della siderurgia cinese all'Europa
Roma. La Cina riprende la sua controffensiva industriale sui mercati globali niente affatto spaventata dalle ultime decisioni anti dumping dell'Unione europea. Come ha riferito la China Iron and Steel Association, i grandi impianti siderurgici cinesi – vero motore industriale del paese – hanno visto migliorare i risultati di esercizio nei primi mesi dell'anno, segnando sul periodo gennaio-maggio un utile aggregato di 8,736 miliardi di yuan (pari a 1,31 miliardi di dollari americani), in aumento del 700 per cento sull'anno.
Un balzo favorito dalla strategia governativa di abbassare la produzione per favorire la ripresa dei profitti, secondo Hu Yanping, analista di Umetal, società di consulenza industriale di base a Pechino. Ed è prevedibile che l'intervento dello stato farà migliorare ulteriormente il contesto finanziario degli industriali visto che, come ha detto il premier cinese Li Keqiang, è stato raggiunto soltanto il 30 per cento degli obiettivi di razionalizzazione della produzione di carbone e acciaio per il 2016.
Tra i tanti aspetti del tredicesimo piano quinquennale 2016-2020 c'è, infatti, il consolidamento dei grandi gruppi industriali e l'abbattimento dei piccoli produttori "zombi", colpevoli della stagione della sovraccapacità produttiva incontrollata che la Cina intende lasciarsi alle spalle. Una sfida, paragonabile a quella del piano Davignon in Europa negli anni Settanta, che il capo dei siderurgici cinesi, Ma Guoqing, definisce "formidabile". Ora per aggredire i mercati Pechino sta lavorando alla creazione di due poli dell'acciaio, uno per il nord e uno per il sud.
Quello a sud è già stato annunciato e dovrebbe nascere dalla fusione del colosso Baosteel e Wuhan Iron da un potenziale produttivo, secondo i dati 2015 della World Steel Association, di 60,72 milioni di tonnellate annue. A nord, invece, dovrebbero fondersi il gruppo Hebei e con Shougang per un potenziale di 76,3 milioni di tonnellate di output, volumi che lo porterebbero ad essere il secondo produttore mondiale di acciaio subito dietro ArcelorMittal, che produce 97,1 milioni di tonnellate all'anno.
Il tentativo dei vertici dell'Unione europea di arginare l'ondata produttiva del paese asiatico potrebbe, dunque, farsi sempre più arduo, nonostante il decisionismo manifestato dal presidente della commissione europea, Jean Claude Juncker, che la scorsa settimana a margine del bilaterale Ue-Cina aveva detto di esser pronto ad utilizzare qualsiasi mezzo per arginare le esportazioni cinesi (che tralaltro segnano un aumento del 9 per cento questo mese rispetto al periodo analogo dell'anno precedente). Ma le parole potrebbero non bastare. Come sostiene Lisa Ferrarini, vice presidente per l'Europa di Confindustria: "Siamo lieti che la commissione lo abbia ribadito, ma più che le definizioni ci interessano i cambiamenti nel regolamento antidumping. Con l'eccesso di capacità produttiva cinese, che oggi interessa la siderurgia, ma domani potrebbe toccare qualsiasi settore manifatturiero, l'antidumping Ue deve rimanere realmente efficace, non soltanto a parole".