Moltiplicatevi e lavorate il doppio: la formula per crescere forse non è così ignota
Pensiamoci un momento. C’è tempo per pensare in quest’aria per molti vacanziera. Pensare all’economia italiana, al suo incremento sotto la media e le aspettative, alla sua scarsa produttività eccetera. Il secondo trimestre che delude, la prospettiva di vita grama. La classe dirigente in panne. Ora, il punto di partenza per la riflessione potrebbe essere un discorso tecnico originale, inedito. Potrebbe. Ma non è facilissimo trovare i cardini dell’originalità e farci girare intorno l’analisi: è stato detto quasi tutto e il suo contrario. Oppure un discorso fondato su nessi logici, sull’osservazione empirica, su domande magari non troppo tecniche, e forse anche non troppo originali, ma abbastanza semplici per consentire risposte autentiche, veritiere. Ognuno resti con le sue convinzioni, pro mercato, antimercato, pro dirigiste, anti globalizzazione o favorevoli alla famosa società aperta, di cui la mondializzazione e apertura dei mercati e deregolamentazione degli scambi, entro certi limiti, è un complemento necessario. Vediamo nel piccolo, nel minimale della logica e dell’atteggiamento da osservatori non ideologizzati.
Bene. Abbiamo avuto Berlusconi, prima di lui i partiti della Prima Repubblica, poi Prodi e l’Ulivo in differenti versioni, compresa quella di far “piangere i ricchi”; abbiamo avuto il riformismo dei post comunisti, le chiacchiere di D’Alema e le lenzuolate di Bersani, abbiamo avuto il ritorno dei ricchi al potere, sempre nella persona del Cav., poi l’arrivo dei tecnocrati eurorigidi, il professor Monti che governava ex cathedra, con le lavagnette; infine nuovi esperimenti, il cacciavite di E. Letta, che sembrava l’usciere di Bruxelles, e le piazzate strombazzanti del Renzi, e vai con gli 80 euro, con l’articolo 18, con le riforme che Draghi le mandava e Renzi le faceva. Abbiamo avuto ministro dell’Economia per dieci anni un fenomenale antiglobalizzatore di nome Tremonti, polemico con le borghesie finanziarie e con l’Europa, poi altri custodi del Tesoro, alcuni di cultura Bankitalia, tutto il contrario del giurista e tributarista della Valtellina, che si considerava in lotta contro il mundus furiosus e i suoi rischi fatali. Abbiamo avuto al lavoro per anni i Maroni e i Sacconi, la Lega con la testa sulle spalle e la vecchia tradizione socialista di bilancismo statale inappuntabile. Abbiamo, cioè, avuto di tutto. E le cose non sono mai davvero cambiate. I dati sono sempre gli stessi, il peso del debito, il vincolo del rapporto tra deficit e Pil, la spesa pubblica improduttiva, la scarsità degli investimenti, la base produttiva asfittica, l’innovazione tecnologica buona per isole e distretti di produttori esportatori ma insufficiente, il ciclo dei consumi che ebbe un’impennata con la new economy della rivoluzione tecnologica e poi subito basta, riflusso e tran tran. Abbiamo avuto ogni sorta di timonieri, percorso tutte le rotte, fatto quasi tutte le parti in commedia, ma non ci si scolla dal già noto e si ripetono sempre le stesse litanie. Come mai?
Forse bisognerebbe guardare di più alla storia del mondo, che ci presenta una nuova divisione internazionale del lavoro in cui alcuni producono a basso costo e altri a costi impossibili (cioè noi). E all’antropologia e demografia europea: siamo pochi, sempre più vecchi, e lavoriamo, di conseguenza, poco. Se questo fosse il problema, bisognerebbe finirla con lo spacciare soluzioni facili e parziali. Bisognerebbe avere un governo capace di dire qualcosa di sugoso e banale: moltiplicatevi, lavorate il doppio, meno protezioni e meno vacanze, oppure continuiamo così ma smettiamo di lamentarci.