Un'idea fiscale choc (ma fattibile) per risvegliare gli investimenti intorpiditi
Sembra mettere finalmente radici il convincimento che solo con nuovi investimenti privati e pubblici potrà esserci una vera crescita economica nel nostro paese. Lo ha detto da ultimo e autorevolmente il ministro Del Rio a Ferragosto. Nel mio piccolo l’ho sostenuto più volte in questi anni sul Foglio, sollecitando e provocando vanamente una risposta della Confindustria. L’ho dimostrato nei mesi scorsi nel pamphlet “Torniamo a industriarci, a novant’anni dalla grande crisi” (Ed. Guida), dove ho dimostrato che l’Italia ha sopportato per 25 anni un processo di deindustrializzazione, causato da una prolungata caduta degli investimenti e misurato da un crollo epocale del valore aggiunto rispetto al fatturato netto. Ho segnalato che nel 2014 c’è stata però una prima, piccola fermata di questo processo negativo.
A maggio dell’anno scorso proposi sull’Espresso che il governo Renzi consentisse eccezionalmente alle medie imprese industriali intenzionate a fare investimenti tecnici nel biennio 2016-17 di ammortizzarli con coefficienti superiori ai massimi fiscali, magari anche illimitatamente superiori, fino a consentir loro addirittura di spesarli nell’anno stesso in conto economico. In altre parole, se un cespite produttivo di nuova realizzazione avesse una vita utile (poniamo) pari a dieci anni, la corrispondente quota annua di ammortamento invece di essere pari come di regola a un decimo dell’importo investito potrebbe essere superiore a piacere, fino a esser pari già al primo anno di esercizio a tutto l’importo investito. Se così fosse, l’ammortamento del primo anno sarebbe pari a dieci volte quello ordinario, cioè sarebbe pari al 1.000 per cento del massimo fiscale. Nei successivi nove anni il cespite risulterebbe già tutto ammortizzato.
Il vantaggio per l’impresa sarebbe che nel primo anno il maggior ammortamento accantonato ridurrebbe fortemente l’imponibile e abbatterebbe le imposte sul reddito. L’impresa sarebbe così sollecitata a dar fuoco alle cartucce (risorse finanziarie) tenute da parte per troppo tempo. Lo stato soffrirebbe solo all’inizio del periodo, perché poi nel seguito l’imponibile sarebbe pieno e porterebbe a un recupero della tassazione anche superiore, perché beneficerebbe della crescita economica complessiva generata dall’investimento. Come altro effetto tutt’altro che secondario sarebbe stabilito il principio che lo Stato non possa essere invadente a tal punto da decidere lui in quanto tempo un imprenditore che rischia soldi suoi debba ricostituire il capitale investito. Alla fine dell’anno scorso il governo Renzi è sembrato recepire nella legge di Stabilità 2016 la mia proposta, però nella qualità e non nella quantità, visto che con il cosiddetto superammortamento ha consentito una maggiorazione fino al 140 per cento (che è sembrata un’enormità) invece del 1.000 per cento da me proposto.
Se il governo non è andato al di sopra del 140 per cento, è stato certamente per una mancanza di copertura finanziaria. Perché? Perché nessun governo ha la forza politica e parlamentare di tagliare la spesa pubblica derivante dalla stratificazione pluridecennale di prebende elettoralistiche concesse in passato a una miriade di clientele in nome di una malintesa politica industriale, o energetica, o ambientale, e via dicendo. Non dimentichiamo che cinque anni fa Francesco Giavazzi fu incaricato dal governo Monti di elaborare una proposta di snellimento delle leggi agevolative, lui lo fece con una visione lucida e drastica, ma la sua proposta rimase lettera morta. E Monti era Monti, o no?
Sulla base di alcune analisi che ho appena cominciato in questi giorni, mi sembra che nel 2015 il flusso di cassa entrante delle imprese sia aumentato (utile non distribuito più ammortamenti), premessa ottima questa per fare nuovi maggiori investimenti, ma mi sembra pure che il flusso di cassa uscente per investimenti fatti sia cresciuto meno, con un conseguente ulteriore accumulo di cassa. Se ciò fosse confermato da altre analisi, le imprese migliorerebbero il loro stato di salute, ma la crescita del paese non arriverebbe. Queste però sono analisi sui consuntivi 2015, quindi prima dell’introduzione del superammortamento di Renzi, il quale certissimamente qualche beneficio lo porterà.
Anzi, nell’ultimo Bollettino economico, quello di luglio scorso, la Banca d’Italia ha scritto che “le imprese indicano di programmare nell’anno in corso [2016] un aumento degli investimenti (ancora storicamente bassi in rapporto al prodotto), favorito anche dal miglioramento delle condizioni di accesso al credito e dagli incentivi fiscali approvati lo scorso dicembre [superammortamento]; il ritmo di accumulazione sarebbe maggiore tra le imprese prevalentemente orientate al mercato interno e tra quelle di maggiore dimensione. Circa il 60 per cento delle imprese industriali programma un aumento della capacità produttiva degli impianti, motivato principalmente dalla percezione di un’evoluzione più favorevole della domanda. Le indagini mostrano però che l’incertezza sul quadro internazionale resta un fattore rilevante nel trattenere le imprese italiane dal procedere con maggiore decisione all’accumulazione di capitale”.
Il fatto che le imprese abbiano intenzione di programmare nel corso di quest’anno maggiori investimenti e un aumento della capacità produttiva vuol dire che caleranno questa volontà nel loro piano quinquennale 2017-2021 e nel budget 2017 che approveranno tra novembre e dicembre prossimi. Un progetto di ampliamento della capacità produttiva richiede da uno a tre anni per la sua attuazione, mediamente due anni. Ciò vuol dire che i positivi effetti sull’occupazione potranno arrivare nel 2019, all’indomani delle elezioni politiche. Se tutto ciò non sarà ben spiegato, gli elettori potrebbero equivocare. Altre indiscrezioni di cronaca dicono in questi giorni che il governo starebbe studiando un’estensione del superammortamento e una migliore e più fertile destinazione di tale strumento. Magari a favore delle imprese che facciano investimenti tecnologici. Si tratta di decisioni delicate e io, non essendo chiamato a consulto, non conosco le cifre e non mi permetto di andar oltre nei miei consigli amichevoli. Resta il fatto che la materia è cruciale e su questo il governo Renzi si gioca molto.