L'Europa senza mercato è morta. Parla il ministro Calenda
Roma. “Il 2016 si conferma l’annus horribilis della politica commerciale europea”. Esordisce così il ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda, in una conversazione con il Foglio a proposito delle ultime esternazioni della leadership tedesca sul Ttip, o Transatlantic Trade and Investment Partnership, l’accordo di libero scambio tra Unione europea e Stati Uniti. “Una battuta d’arresto innegabile su questa intesa solleva problemi non soltanto di tipo economico, ma anche dubbi sullo stato di salute delle istituzioni comunitarie, e soprattutto sull’identità europea e sul rapporto che il nostro continente intende avere con il mercato”.
Il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda (foto LaPresse)
Calenda, che è stato un pugnace sostenitorie nei fori domestici e internazionali di un accordo che interessa potenzialmente il 40 per cento del pil mondiale e una popolazione di 800 milioni di persone, precisa di non aver mai voluto “un accordo a tutti i costi, quali che fossero i contenuti”. Detto ciò, il ministro scorge errori da entrambi i lati dell’Atlantico. Gli Stati Uniti, oltre a non aver concesso ancora sufficienti garanzie a Bruxelles sui capitoli del negoziato che riguardano procurement (gare e appalti) e indicazione geografica dei prodotti alimentari, hanno dato evidente priorità alla chiusura dell’accordo gemello con i paesi del Pacifico, il Tpp (Partenariato trans-Pacifico). Ma il cahier de doléances più lungo è quello che riguarda l’Europa. “La cancelliera Angela Merkel parlò della necessità di un accordo transatlantico nel suo primo discorso d’insediamento da cancelliera, nel 2013. Poi però, di fronte alla titubanza, pur comprensibile, delle opinioni pubbliche europee, le leadership del continente sono state tutto tranne che chiare. Spesso per ragioni di politica interna, come nel caso di queste ore, guarda caso all’approssimarsi di elezioni domestiche, è iniziato così un gioco di delegittimazione dell’unico organo deputato a trattare in materia di commercio, cioè la Commissione europea”. Esempi non ne mancavano già prima delle dichiarazioni di chiusura arrivate domenica del ministro dell’Economia di Berlino, Sigmar Gabriel: “Si è scelto in estate di nazionalizzare la ratifica dell’accordo di libero scambio con il Canada, negoziato invece dalla Commissione Ue su mandato dei 27 stati membri. Ora ogni singolo Parlamento nazionale dovrà approvarlo e non esistono nemmeno precedenti che dicano cosa accadrà in caso di un solo ipotetico ‘no’ a fronte di 26 ‘sì’”. Sia nel caso americano, sia in quello canadese, insomma, l’agenda politica dei diversi paesi europei – continua il ministro nel suo ragionamento – ha finito per travolgere gli obiettivi di fondo della politica commerciale comune.
“Se è vero dunque che una mancanza di leadership è imputabile sia all’America sia all’Unione europea – dice Calenda – è indubbio che in particolare alcuni leader del nostro continente abbiano scelto di cavalcare le pulsioni antiglobalizzazione e in generale anti mercato presenti oggi nell’opinione pubblica europea. Pulsioni che non vanno ignorate, ben inteso, ma affrontate a viso aperto sul terreno dei contenuti effettivi di questi accordi”. Che invece un discorso pubblico sul merito del Ttip sia stato sacrificato sull’altare della politica interna è facilmente dimostrabile. Calenda, a riprova di un certo pregiudizio ideologico nei confronti degli Stati Uniti in sé, ricorda quante poche volte sia stato interrogato in Parlamento o dall’opinione pubblica quando erano in ballo intese commerciali pur importanti con paesi diversi, si chiamassero Canada o Vietnam. Altro indizio sulla strumentalità di certe prese di posizione: la maggior parte dei gruppi contro il Ttip non si è limitata a chiedere cambiamenti di direzione sul contenuto dell’intesa in fieri, osserva il ministro, ma ha chiesto una sospensione tout court della trattativa per il Ttip. Implicitamente sostenendo che non dovremmo neanche negoziare con il nostro principale partner economico e politico.
Calenda non esclude a priori che un accordo sia tecnicamente raggiungibile prima della dipartita del presidente Barack Obama, ma lo ritiene difficilissimo. Lo aveva detto anche prima di Gabriel, a dire il vero – “il Ttip secondo me salta, siamo arrivati troppo lunghi sulla negoziazione tecnica”, dichiarò a luglio – seppure senza usare i toni trionfalistici del ministro tedesco. In caso di rinvio, bisognerà attendere un nuovo mandato del Congresso americano al futuro inquilino della Casa Bianca, sperando che nel frattempo altri rivolgimenti politici non abbiano complicato troppo le cose anche su questa sponda dell’Oceano Atlantico.
“Rifiutarsi di negoziare oggi o mancare un’intesa domani sarebbe un fallimento per tutti – dice Calenda – Infatti fissare alcuni standard su commercio e servizi tra Europa e Stati Uniti è un modo virtuoso per governare la globalizzazione. Gli standard di un’intesa transatlantica così possente diverrebbero gli standard da imitare in tutto il mondo, sarebbero la strada maestra per rettificare gli squilibri dell’integrazione dei mercati che in tanti lamentano. Se rigettassimo tutto ciò, ragionando come se fossimo in presenza di tante Brexit contemporanee, dovremmo prendere atto che l’Europa ha difficoltà esistenziali a sopravvivere all’interno di un sistema globale sempre più complesso. In questo senso, oltre che per la difficoltà di rapportarci con un nostro alleato storico come gli Stati Uniti, siamo di fronte a una crisi d’identità del continente. Più grave di un accordo commerciale andato male”.
Il governo italiano aveva investito molto su questo processo. Come esce dalla battuta d’arresto? “Continueremo a tenere aperti tutti i canali con l’opinione pubblica a partire da coloro che avversano alcuni il Ttip, per discutere nel merito sull’importanza dell’accordo. A livello diplomatico, poi, insisteremo sul fatto che nessuno ha privato la Commissione del suo mandato a negoziare che gli stati sovrani e il Parlamento europeo gli hanno conferito. Bruxelles dunque deve andare avanti, senza farsi influenzare da uscite estemporanee di questo o quell’altro leader”, conclude Calenda.
tra debito e crescita