Rendere una casa a prova di sisma costa ma non è impossibile. Guida pratica
Roma. Circa sei milioni di edifici italiani – cinque residenziali – sorgono in zone a elevato rischio sismico, secondo il quarto Rapporto sullo stato del territorio (di prossima uscita) curato dal Cresme, un centro ricerche per chi opera nel mondo delle costruzioni e dell’edilizia. Data la situazione, il terremoto del 24 agosto che ha devastato il Centro Italia può motivare qualcuno ad agire prima che i piani pluriennali pubblici di cui si discute in questi giorni arrivino a maturazione. Ma in attesa di ciò, cosa possono fare i singoli individui per mettere in sicurezza la loro abitazione con criteri antisismici? Che difficoltà trovano? Quanto tempo serve e quanto può costare? Abbiamo fatto una simulazione comportandoci come un proprietario di una casa bifamiliare sita in zona ad alto rischio sismico, ad esempio lungo la catena appenninica, e poi – più complicato – come un amministratore di condominio.
Il primo passo è contattare uno studio ingegneristico possibilmente specializzato in costruzioni antisismiche (ne abbiamo sentiti quattro da Campania, Lazio, Toscana e Veneto): prima di procedere a un incontro operativo chiedono al potenziale committente tutte le carte catastali e le informazioni sull’edificio. Trovarle da soli può essere un’impresa faticosa, ma gli studi possono occuparsene. Le speranze di recuperare la documentazione sono scarse se la casa è stata costruita prima della legge del 1971 che ha disciplinato le opere di conglomerato cementizio armato imponendo al costruttore di depositare il progetto presso l’ufficio del Genio civile. Se l’abitazione è successiva a quella data è possibile riuscirci, ma non è detto: dal 2003 in alcune regioni il Genio ha ceduto parte delle sue competenze ai comuni o alle province per cui le pratiche sono depositate presso i loro uffici che potrebbero averle malcustodite o perse.
Tuttavia non è il caso di darsi per vinti. Se le informazioni scarseggiano, anche sapendo soltanto l’anno di costruzione si può procedere ingaggiando un tecnico per effettuare sia un rilievo geometrico sia una verifica dello stato della struttura, in particolare sulle malte che legano i vari elementi costruttivi e possono essere deteriorate o terrose se le case sono vecchie – la verifica richiede due o tre giorni. In questo frangente può capitare di scoprire che rispetto alla documentazione reperita, il precedente proprietario ha apportato modifiche sostanziali (un piano in più, un balcone, eccetera) che hanno cambiato la statica dell’edificio, e ciò richiede approfondimenti. A questo punto, con carte e rilievi alla mano, il progettista dello studio di ingegneria inizia una simulazione matematica di resistenza sismica sulle strutture orizzontali e verticali portanti e di quelle secondarie.
Dopo la diagnosi – in media dura tre settimane, dicono gli ingegneri – il proprietario può decidere come comportarsi. Scoperte le carenze strutturali, più o meno gravi, si può procedere in tre modi via via più onerosi per migliorare il coefficiente di resistenza sismica dell’edificio; nelle strutture pubbliche, come le scuole, è obbligatorio arrivare sopra il 60 per cento in una scala dove 100 corrisponde al livello di un edificio costruito con criteri antisismici moderni. L’intervento meno invasivo ed economico è detto “locale”; può consistere nel sanare manomissioni pregresse murando una porta o una finestra create in precedenza e guadagnare stabilità. Poi c’è il “miglioramento sismico” che può portare a un progresso sostanziale della resistenza; ad esempio installando dei tiranti agli angoli della casa che rendono solidali le murature ed evitano che l’oscillazione del sisma scosti le pareti e faccia crollare i solai.
Il terzo tipo di intervento, detto di “adeguamento sismico”, è il massimo possibile per veder aumentare il coefficiente di resistenza fino a 100, quello di una casa antisismica. Il che può implicare una serie di interventi invasivi, come ad esempio la posa di calcestruzzo sulle travi in legno dei solai per dare rigidità alla struttura o in casi di edifici periclitanti il placcaggio delle murature con reti metalliche. Quando si ha una diagnosi puntuale e si sa cosa si vuole ottenere, bisogna richiedere l’autorizzazione sismica presso gli uffici del Genio civile competenti oppure quelli provinciali o comunali che se ne incaricano. La documentazione da allegare riguarda sia la vita dell’edificio sia gli interventi da realizzare (piano di manutenzione della parte strutturale dell’opera, planimetrie, relazione di calcolo, geologica, geotecnica, sui materiali, sulla valutazione della sicurezza, sulle fondazioni, relazione tecnico-illustrativa dell’intervento, ricevuta di versamento degli oneri istruttori per istanza di autorizzazione, tavole grafiche, progetto architettonico) e gli incarichi d’assunzione di chi realizza il progetto (il progettista strutturale, quello architettonico, il geologo, il direttore dei lavori, un ulteriore professionista iscritto all’albo, l’impresa costruttrice, il collaudatore).
L’esame dei progetti da parte del Genio o dell’ente che dà l’autorizzazione – entro 60 giorni dalla presentazione della domanda – è obbligatorio per gli edifici pubblici (scuole, ospedali), per le imprese con 200 persone, e anche per quelli privati se sono in zona ad alta probabilità sismica. Altrimenti il controllo su quelli privati va a sorteggio (uno su sei), ma possono essere esaminati anche in futuro. A circa due mesi dall’inizio della ricerca si può cominciare. Avvertenza: per l’impresa di costruzione gli ingegneri consigliano di non cercare il massimo ribasso perché è il valore dei lavori che farà la differenza tra avere solo speso dei soldi o averli investiti per proteggere casa e inquilini da un sisma. Il consiglio – che nel 50 per cento dei casi viene ignorato – è quello di diffidare dei lavoratori autonomi improvvisati che chiedono per gli operai paghe orarie sotto la media – 18-20 euro l’ora contro i 27-30 euro di un’impresa strutturata – e promettono di chiudere in fretta il cantiere. Se ci si affida a lavoratori autonomi il rischio è di non potere beneficiare della garanzia di dieci anni prevista dal Codice civile sugli interventi fatti dalla ditta per il semplice motivo che la “ditta” potrebbe essere sparita nel frattempo.
Per dare un ordine di grandezza, il costo di un intervento migliorativo consistente si aggira attorno ai 200 euro al metro quadrato calpestabile, ovvero 40 mila euro per una ipotetica casa bifamiliare da 200 metri quadrati, mentre il forfait per lo studio di progettazione s’aggira attorno ai 7-8.000 euro. Attualmente lo sconto fiscale consente di portare in detrazione il 50 per cento dei costi nell’arco di dieci anni per qualsiasi zona sismica (vale per tutte le abitazioni perché si riferisce a interventi di ristrutturazione edilizia di qualsiasi genere), si può salire fino al 65 per cento ma vale solo per le prime case e le attività produttive se in zone a rischio sismico elevato e per i soli interventi di "sismo-resistenza". Si può arrivare anche a una detrazione fino al 65 se l’intervento di ristrutturazione edilizia migliora anche le performance termiche; ad esempio il placcaggio esterno con materiale isolante è funzionale a entrambi gli scopi. Una volta finiti i lavori, il tecnico collaudatore – figura importante che dà la patente finale – deve avere visitato il cantiere durante l’opera e avere verificato che l’impresa e il direttore dei lavori si siano comportati bene. Se sì, rilascerà il certificato di collaudo, l’ultimo atto da depositare presso l’ente locale competente. I lavori possono durare anche un semestre, se tutto va liscio – è anche possibile fare un piano di ristrutturazione prolungato pezzo a pezzo per spalmare i costi.
Nei fabbricati a proprietà diffusa, i condomini, è più difficile intervenire. Una tecnologia moderna per i palazzi consiste nel sistemare tra le fondazioni e il primo livello degli isolatori elastici che assorbono le onde sismiche: soluzione abbastanza costosa – in media 8-10 mila euro per appartamento – ma che ha il vantaggio di non modificare il resto del fabbricato garantendone l’imperturbabilità. Ragioni tecniche a parte, l’autorizzazione di tutti i condòmini è la prima difficoltà in Italia per questo tipo di interventi, dicono gli ingegneri. Il veto di un solo condomino infatti blocca tutto: spesso accade che qualcuno sia disinteressato per via di disponibilità economiche scarse e/o aspettative di vita basse. Un proprietario da solo può anche procedere a interventi antisismici, ma senza un coordinamento complessivo e d’accordo con tutti gli altri risulta quasi inutile. Per incentivare i condòmini più sparagnini, dall’anno scorso è comunque possibile girare un ammontare pari al 65 per cento della detrazione fiscale all’impresa che realizza i lavori; a quel punto starà alla ditta anticipare i soldi che riavrà in dieci anni.