Più capitale cognitivo, e non nuove regole, per debellare la corruzione
Idibattiti sulla ricostruzione post terremoto, insieme al dossier della Fondazione David Hume-Sole 24 Ore, hanno rilanciato in questi giorni l’immagine dell’Italia funestata dalla corruzione. E questo nonostante sia stata accantonata la leggenda che stimava in 60 miliardi di euro i costi del fenomeno in Italia. Il dossier della Fondazione Hume identifica quali cause del fenomeno la mancanza di una cultura del libero mercato, una scarsa dinamicità del capitale sociale (in particolare un peso troppo scarso delle donne in politica) e un’inadeguata valorizzazione del capitale umano. La radice di questi tre fattori è unica: una cultura che non forma, nell’ambito familiare e in quello scolastico, cittadini che rispettano regole e fatti, incentivando le astuzie più che l’intelligenza e l’onestà, e assecondando i giudizi basati su opinioni, impressioni, intuizioni emotive e un confuso relativismo. Comportamenti e valori tipici di società arretrate, che nel corso della modernità sono stati scalzati o attenuati per consentire le conquiste di libertà e benessere di cui godono occidente ed economie capitaliste.
Le ricerche psicologiche ed evoluzionistiche sul comportamento economico hanno dichiarato estinta la specie Homo oeconomicus, dimostrando che non ci siamo evoluti per capire il funzionamento del mercato e dello stato di diritto, malgrado queste siano le principali basi materiali e formali del benessere economico e di una efficiente democrazia. Abbiamo vissuto, fino a mezzo millennio fa, in economie a somma zero (se qualcuno guadagna, qualcun altro perde), dove la corruzione, che è appunto un gioco a somma zero, svolgeva un ruolo importante nel costruire le gerarchie di potere. Uno studio pubblicato l’anno scorso sui Proceedings of the National Academy of Science dimostra che la corruzione è il lato oscuro della cooperazione, nel senso che le persone che vedono la possibilità di trarre illecitamente un vantaggio dalla cooperazione, quando si presentano le opportunità lo fanno con una frequenza impressionante. L’esperimento è stato fatto su due campioni di nazionalità tedesca e britannica, che percepiscano una minore corruzione nei loro paesi.
La corruzione non era un male nelle economie a somma zero, dove il potere di regola era incarnato da persone, piuttosto che formalizzato nella legge. In una simulazione evoluzionistica dell’efficienza sociale e dei criteri di accettabilità di un sistema di esercizio del potere, come quello dei pubblici ufficiali incaricati di far rispettare la legge, si è visto che un livello minimo di corruzione, nella forma di privilegi illegali concessi a questi funzionari, rafforza il funzionamento e le prestazioni delle società umane (F. Úbeda, E.A. Duéñez-Guzmán, “Power and Corruption”, Evolution, 2011, 65 (4), pp. 1127-39). Quando si applica una logica naturalistica all’origine dei comportamenti umani, si può scoprire che quel che tiene insieme le nostre società non è sempre quel che giudichiamo astrattamente o a priori come buono e giusto. Lord Acton, per esempio, aveva ragione a sostenere che il “potere corrompe”. Un gruppo di ricercatori ha dimostrato che l’esperienza psicologica del potere è associata alla ricerca del proprio interesse particolare. L’esperimento ha anche mostrato che questo vale soprattutto per chi ha una “debole identità morale”, mentre chi ha una forte identità morale vede incrementare la propria consapevolezza etica attraverso l’esperienza psicologica del potere (DeCelles, et al., “Does power corrupt or enable? When and why power facilitates self-interested behavior”, Journal of Applied Psychology, Vol 97(3), May 2012, 681-689).
Ma come si costruisce una forte identità morale? Ovvero, che cosa ha migliorato moralmente una parte di umanità, che è riuscita a create società fondate su economie a somma non zero, libertà individuale ed eguaglianza di fronte alla legge? Probabilmente è stata la nascita e la diffusione del pensiero scientifico. Se è vero (come è vero) che i paesi protestanti e con sistemi giuridici di common law sono quelli dove si percepisce meno corruzione, in parte lo si deve al fatto che il protestantesimo ha consentito la prosecuzione di quella rivoluzione scientifica che ebbe inizio in Italia. E la nascita del sistema di common law, che valorizza i fatti, la fiducia e la neutralità del giudizio, fu coevo della rivoluzione scientifica, ed ebbe tra i protagonisti anche Francis Bacon. Anche la prima costituzione formale, quella americana, fu ispirata (insieme alla dichiarazione d’indipendenza) dalla formazione newtoniana dei Padri Fondatori. Ancora agli inizi del ’900 era forte l’impronta scientifica nel pensiero e politico e giuridico che lavorava alla costruzione di quell’efficiente democrazia.
Uno studio condotto da Niklas Potrafke su 125 paesi (“Intelligence and Corruption”, Economics Letters 2013; 114: 109-112) ha rilevato che dove ci sono livelli di prestazioni intellettuali più alti, la corruzione è più bassa. Il rapporto tra livello di intelligenza nazionale, intesa come misura del “capitale cognitivo”, e un più efficace controllo sulla corruzione, oltre che migliore efficienza del governo e dello stato di diritto, è riconosciuto anche dell’economista Isaac Kalonda Kanyama. Il concetto che emerge dalle ricerche sul ruolo del capitale cognitivo nella progettazione e nel governo dei sistemi liberali e capitalisti, è che il livello di comprensione cognitiva (non meramente intuitiva) delle regole e dei princìpi liberaldemocratici, e la stretta cooperazione tra capitale cognitivo e istituzioni nazionali, sono importanti per la qualità della vita economica e civile di quel paese (“Quality of institutions: Does intelligence matter?”, Intelligence, 2014, 42: 44-52.).
Forse sarebbe il caso di non far scappare quasi tutti i migliori cervelli che formiamo, e di far qualcosa per attrarne di più dagli altri paesi. Probabilmente, nel tempo, si ridurrebbe anche la percezione della corruzione.