Non è un Monte, è l'Everest
Tutti gli ostacoli che rallentano gli aumenti di Mps (e di Unicredit)
Roma. Le dimissioni telecomandate di Fabrizio Viola dalla carica di amministratore delegato del Monte dei Paschi di Siena hanno rotto l’incantesimo mediatico estivo e riacceso di prepotenza i riflettori sul problema dei problemi del paese: la situazione delle banche. Per oltre un mese la vicenda del terremoto prima, e le fibrillazioni del governo pentastellato della Capitale poi, hanno occupato la scena oscurando i temi economici, ma il cratere del credito è rimasto in piena attività. E se le dimissioni di Viola hanno colto di sorpresa alcuni, non possono dirsi del tutto inattese. Le dimensioni dell’aumento di capitale Mps pianificato dallo stesso Viola non dalla Vigilanza unica della Banca centrale europea, 5 miliardi a fronte di una valorizzazione di Borsa pari a 700 milioni, appaiono senza esagerare mostruose come scrive il Financial Times. Per persuadere gli investitori a scommettere su un istituto che finora è stato una fornace del risparmio, le banche capofila del consorzio di collocamento (JP Morgan e Mediobanca) e il ministero dell’Economia hanno ritenuto di doversi presentare sul mercato con un volto nuovo. Il successore sarà nominato domenica, al più tardi martedì si dice, e come confermano fonti autorevoli al Foglio, dovrebbe essere Marco Morelli, con un passato a Siena (cosa che fa storcere il naso a qualche banchiere) e in JP Morgan, oggi ai vertici di BofA Merrill Lynch. Riuscirà il nuovo amministratore delegato a portare la banca più antica del mondo fuori dalle secche? E allargando lo sguardo, riusciranno il ministro dell’Economia e il governatore della Banca d’Italia a portare l’intero sistema in acque più tranquille?
Ieri Via Nazionale ha reso note cifre meno sconfortanti sull’andamento del credito (più 0,4 per cento anno su anno i prestiti a luglio, solo più 0,5 per cento le sofferenze, più 0,4 i depositi). Ma nei prossimi mesi l’universo bancario dovrà scalare una parete degna di Messner in tempi (sulla carta) strettissimi: vendita delle 4 good bank scaturite dal fallimento (con bail-in) di Banca Etruria, CariFerrara, CariChieti e Banca Marche entro il 30 settembre, approvazione dell’aumento di capitale Mps entro il 30 ottobre come concordato con la Bce – ma potrebbe slittare oltre – e avvio, nell’ambito del piano di rientro di Mps, della cartolarizzazione via Fondo Atlante di 10 miliardi di crediti in sofferenza netti. Il tutto mentre il mercato dovrà vedersela con il probabile aumento di capitale (ancora 10 miliardi, secondo il Ft) di Unicredit. Ieri il ministro dell’Economia Padoan, primo azionista di Mps con il 4 per cento, ha rassicurato: “La situazione è sotto controllo”. Il presidente dell’Eurogruppo Dijsselbloem gli ha dato una mano: “Piena fiducia nell’operato del governo italiano”. Ma il comparto sano del sistema, che si è svenato per finanziare l’operazione good bank prima e l’avvio del Fondo Atlante poi nel quadro di quelli che vengono generosamente definiti interventi di mercato, trema. I tempi di questo Everest finanziario si intrecciano poi con quelli della politica.
E’ noto che il premier Renzi gradirebbe che questo capitolo fosse almeno avviato a soluzione prima del referendum costituzionale. Anche ieri si è detto fiducioso: l’aumento “partirà presto”. Ma le tecnicalità sono tali e tante che appare difficile anche la sola eventualità dell’annuncio entro il 30 ottobre della data di convocazione dell’assemblea straordinaria che dovrà deliberare sull’aumento. I motivi sono diversi: il frazionamento dell’azionariato di Mps, la volontarietà della conversione in azioni dei bond subordinati acquistati dagli investitori istituzionali (facili da individuare se sono rimasti agli acquirenti originari, meno facile se sono stati venduti ad altri soggetti), le condizioni poste dalle banche del consorzio per intervenire sull’invenduto (dipende dall’esito delle operazioni di cartolarizzazione dei Npl). Ieri Klaus Regling, presidente dell’Esm, ha detto che l’ipotesi di un intervento del Fondo salva stati in di Mps o in altre banche italiane non è mai stata discussa. Sicuramente è così. Ma non è pensabile che di fronte a queste difficoltà non si stia studiando un piano B. Se non altro perché la ricapitalizzazione di mercato potrebbe alla fine rivelarsi irrealizzabile. Se non si vuole seguire la strada del sacrificio degli obbligazionisti privati e istituzionali (bail-in parziale), si potrebbe – dice l’economista Angelo Baglioni su Lavoce.info – imitare il Portogallo dove la recente ricapitalizzazione con soldi pubblici della Caixa Geral ha ottenuto il via libera della Commissione sulla semplice base del cambio dei vertici aziendali e di un duro piano di ristrutturazione. Mps potrebbe percorrere la stessa strada? Interpellato dal Foglio, un portavoce della Commissione preferisce non commentare “a questo stadio delle cose”.