Il paese può crescere solo valorizzando le nuove eccellenze italiane. E occhio al privato
Da venerdì pomeriggio a domenica, pubblicheremo tutto il girotondo di idee - che trovate nel Foglio in edicola - con le proposte per una nuova agenda per l'Italia, che la rendano competitiva in tema di politiche industriali, innovazione, fisco e investimenti.
Avendo ormai perso la grande industria, l’eccellenza produttiva italiana si caratterizza per la presenza di piccole e medie imprese di eccellenza, in grado di competere nel panorama internazionale per qualità ed innovazione. Rigenerare e mantenere viva questa struttura imprenditoriale, richiede un approccio sinergico in tutte le fasi di crescita di un Impresa, magari focalizzando e specializzando le nostre competenze, in modo da creare un sistema a cluster, capace di confrontarsi con le altre eccellenze sparse nel mondo, piuttosto che duplicarne su scala ridotta le potenzialità. Questa auspicabile ipotesi si scontra, tuttavia, con il permanere di un epoca dei Comuni che pare non abbia ancora abbandonato la nostra idea di identità nazionale a favore di un concetto di stato per nulla acquisito.
Allo stesso modo rimane insuperata la diffidenza nel rapporto tra il pubblico e il privato. L’idea di “fare profitto”, propria del settore imprenditoriale e sdoganata con successo dal mondo calvinista, in Italia ha ancora una percezione marcatamente negativa. Nobile è la libera ricerca, considerata indipendente e scevra da ogni condizionamento, pur se il suo fine ultimo sia solo quello di accrescere il sapere comune mentre tutto ciò che prevede il sostegno di capitali privati ad una ricerca finalizzata, viene malamente tollerato solo per la cronica mancanza dei fondi pubblici.
Se guardiamo all’esperienza dei nostri centri di ricerca pubblici, siano essi Università o altro, non abbiamo nulla di che rimproverarci sulla qualità della nostra produzione scientifica, mentre analizzando, in termini di ricavi economici, quanto tale ricerca sia stata in grado di restituire agli stessi centri, il dato risulterebbe essere estremamente meno incoraggiante.
E’ lo scoglio culturale profondamente radicato nel nostro sistema paese che deve essere oggetto di attenzione. Uno scoglio che non permette che si costruisca un rapporto di fiducia reciproca tra pubblico e privato.
Dimostrazione della validità del nostro tessuto scientifico è, ad esempio, quanto avviene nel settore delle biotecnologie e delle scienze della vita in genere, dove si assiste ad un grande fermento. La prassi consolidata che la ricerca più innovativa nasca al di fuori delle grandi aziende si accompagna, oggi anche in Italia, con la nascita di fondi specializzati.
Il modello che pare aver preso piede nel settore dell’Healthcare, costituisce un esempio virtuoso esportabile anche ad altri ambiti, in quanto aiuta poter lavorare su un ambito specifico cercando di aggregare competenze che possano aiutare non solo nella valutazione dell’idea imprenditoriale ma anche nel rendere la stessa concreta e percorribile.
Il problema non è solo quello di dotarsi di strumenti che favoriscano l’avvio alle iniziative quanto, piuttosto, di fare in modo che queste siano nelle condizioni di attrarre investimenti futuri, lungo tutto il percorso del loro sviluppo. E’ necessario un forte senso di competitività che selezioni solo le eccellenze e che ponga le stesse nell’ambito di un contesto specifico in grado di valorizzarle. La strategia di specializzazione non può essere rivolta solo alla singola iniziativa ma deve essere parte di un progetto di politica industriale di un sistema in grado di competere a livello globale.
Sistemi di accelerazione evoluti come quello israeliano pongono forti barriere all’ingresso, facendo si che non si debba sempre cominciare da capo nella valutazione della validità di un’iniziativa a causa della mancanza di un impianto in grado di selezionare e far progredire solo le iniziative realmente promettenti.
Una focalizzazione nazionale, non regionale o locale, su specifiche eccellenze accompagnata dall’accettazione di un’alta selettività, possono essere due delle parole chiave alla base di una nuova agenda per il futuro dell’imprenditorialità del nostro paese.
Antonio Falcone è amministratore delegato e vicepresidente di Principia Sgr