Stabilità troppo stabile
“La strategia della pensione” (cit.) non fa bene alla ripresa italiana
Roma. “La strategia della pensione”, titolava ieri l’Unità. E più che un semplice gioco di parole, quella del giornale del Partito democratico appariva – involontariamente – come un’autodenuncia rispetto al corto respiro e alla strumentalità di alcune scelte di politica economica del governo in vista della prossima legge di Stabilità, specie sulla previdenza. L’espressione originaria, “strategia della tensione”, fu coniata dal settimanale inglese Observer dopo la strage di Piazza Fontana: correva l’anno 1969, e da allora vari episodi terroristici furono interpretati come il tentativo di mettere il paese in uno stato di tensione tale da giustificare una svolta autoritaria. La “tensione” era da intendersi dunque come un diversivo. Se oggi siamo in piena “strategia della pensione” (cit.), allora tanta enfasi mediatica e governativa al tema previdenza sono forse il nostro diversivo quotidiano? Il dubbio è lecito. L’Unità, ovviamente, non la pensa così. A spiegarlo sempre ieri era un editoriale in prima pagina firmato da Cesare Damiano, presidente per il Pd della commissione Lavoro della Camera dei deputati e già sindacalista della Cgil, intitolato “Siamo sulla strada giusta”. Vi si leggevano lodi per i passi avanti realizzati durante l’incontro tecnico del giorno prima tra sindacati ed esecutivo: anticipo pensionistico di 3 anni e 7 mesi per chi lo desidera, ampliamento della platea della cosiddetta “quattordicesima” fino a 3 milioni di pensionati, eccetera. Con tanto di auspicio di un’ottava salvaguardia degli esodati creati dalla legge Fornero, quella “definitiva” la chiama Damiano, di cui devono beneficiare “i cessati a tempo indeterminato e determinato, i familiari dei disabili e i lavoratori in mobilità”, quindi ben oltre gli “esodati” in senso tecnico. Se andasse esattamente così, sarebbe il coronamento della strategia messa in campo dalla Cgil (e non solo) fin dal giorno successivo all’approvazione della riforma Fornero delle pensioni del 2011: smontare la suddetta riforma creando scivoli e scappatoie di ogni sorta per i pensionandi, così da vanificare l’innalzamento dell’età pensionabile e il passaggio per tutti al sistema contributivo.
Nulla è ancora scritto. Da Palazzo Chigi dicono che l’accordo con il sindacato è in fieri. Anche Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, ieri ha detto che le “pare difficile che il 21 settembre possa essere l’incontro conclusivo. Spero almeno che possa essere l’incontro in cui ci saranno comunicate finalmente le risorse”. La Confindustria comunque pare allineata con le richieste sindacali sui prepensionamenti agevolati, tanto che ieri il presidente Vincenzo Boccia ha sottolineato che la misura “era anche una cosa richiesta da alcuni dei nostri”. Evidentemente tutti convinti che le ristrutturazioni aziendali e le assunzioni giovanili, in Italia, siano possibili solo se lo stato incentiva l’uscita dei più anziani dal mercato del lavoro. Eppure siamo già nel paese con il più basso tasso di occupazione in Europa. Così, anche se ieri l’ex ministro Elsa Fornero assicurava che quella di Renzi è soltanto “una operazione di consenso” e che comunque l’essenziale della sua riforma “è mentenuto”, la “strategia della pensione” ha stregato molti. La sorte di pensionandi e pensionati – i cui redditi e patrimoni negli ultimi 20 anni sono cresciuti, a differenza di quelli degli under 35 – ha monopolizzato finora il confronto politico sulla Stabilità e già ha catalizzato il quadruplo delle risorse destinate agli sgravi per la contrattazione aziendale. Per non dire delle politiche attive del lavoro, sul cui ritardo anche Tommaso Nannicini, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ha fatto “mea culpa” due giorni fa. C’entra il referendum che incombe? O il fatto che gli elettori canuti sono più numerosi e attivi degli under 50? Certo è che ieri il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, avvertiva che “le previsioni di crescita saranno riviste al ribasso” alla fine dell’anno, sotto il già anemico “più 1,2 per cento” atteso qualche mese fa. Alla ripresa italiana, insomma, la “strategia della pensione” in essere dal 2011 fa tutto tranne che bene.