Virginia Raggi (foto LaPresse)

I numeri olimpici su finanziamenti, pil e occupazione che Raggi ignora

Alberto Brambilla
Il sindaco sostanzialmente rifiuta una ricca opportunità pagata dalla collettività (che già da anni salva le casse di Roma) e lo fa per scantonare il “magna-magna” romano del “mattone”.

Roma. Viene quasi automatico in queste ore azzardare un parallelismo tra il diniego di Mario Monti e quello di Virginia Raggi a ospitare le Olimpiadi a Roma nel 2024. Entrambi hanno definito sostanzialmente irresponsabile organizzare l’evento sportivo più grande del mondo nella Capitale d’Italia, ma per ragioni molto diverse, tanto diverse quanto sono distanti le personalità e i trascorsi dell’ex premier tecnico e il sindaco del Movimento 5 stelle. L’economista ed ex commissario europeo Monti nel 2012 valutava la questione da uomo di governo, da “tecnocrate” che in tempi di “austerity” avrebbe speso miliardi per realizzare una manifestazione che nella storia ha lasciato ai paesi ospitanti oneri inattesi superiori ai benefici prevedibili. Scelta comprensibile quella di Monti.

 


Mario Monti (foto LaPresse)


 

E’ invece più difficile da capire, paradossale, il rifiuto del neo sindaco di Roma. Le motivazioni dell’avvocato Raggi sono soprattutto ideologiche, derivano dall’allergia del M5s alle grandi opere e “al cemento” e non tengono conto del fatto che tanto per cominciare con le Olimpiadi pioverebbero sulla Capitale 5,3 miliardi di euro – è il budget iniziale previsto. I costi operativi, pari a 3,2 miliardi, tra organizzazione, sicurezza, antidoping, gestione eventi, costo degli impianti temporanei sarebbero interamente coperti dal Comitato olimpico internazionale (Cio),  dai ricavi provenienti dalle sponsorizzazioni e dal marketing. I costi di investimento, pari a 2,1 miliardi, riguarderebbero il Villaggio olimpico, i centri media, gli impianti sportivi permanenti, gli impianti di allenamento e, nel progetto presentato dal Coni, sarebbero costi interamente a carico dello stato e non delle singole amministrazioni comunali.

 

E questo solo per preparare i Giochi, passaggio ovvio per beneficiare poi, con la macchina avviata, di finanziamenti pubblici per infrastrutture dedicate soprattutto a rimettere in sesto la disastrata viabilità – a cominciare dall’incompiuta “Metro C”, la terza linea metropolitana che non è ancora collegata alle altre due, a nove anni dall’inizio dei lavori. Sono 27 le opere possibili da completare, già previste nel Piano regolatore generale di Roma Capitale, con l’obiettivo – si legge nella relazione tecnica del Comitato olimpico – di “ridurre l’utilizzo dei veicoli privati, con vantaggi tangibili sui livelli di traffico e di inquinamento” (quale grillino saprebbe dirla meglio?). Il sindaco sostanzialmente rifiuta una ricca opportunità pagata dalla collettività (che già da anni salva le casse di Roma) e lo fa per scantonare il “magna-magna” romano del “mattone”.

 

Quando invece potrebbe dimostrare che i “trasparenti” e “onesti” 5 stelle sono capaci di fermarlo, per una volta. Perfino il quotidiano della Conferenza episcopale italiana Avvenire ha criticato il sindaco “senza ali” che vuole fare di Roma una “città chiusa”: i vescovi non sembrano così disdegnare lo “sterco del diavolo” che darebbe linfa alla spompata città eterna. Dunque quali potenzialità ha perso di vista Raggi? Un’analisi dell’Università Tor Vergata di Roma, coordinata dalla Facoltà di economia, presieduta dal professor Beniamino Quintieri (anche presidente di Sace), stima che i Giochi a Roma avrebbero creato 177 mila posti di lavoro – di cui 132 mila legati a opere infrastrutturali pianificate da anni e mai realizzate – e i restanti dall’indotto dell’evento (attività mediatiche, merchandising, ristrutturazioni alberghiere ecc.).

 

Se vincesse Parigi, l’Università di Limoges stima 250 mila nuovi posti. Nei sette anni di preparazione (2017-’23) le attività collegate ai giochi contribuirebbero a incrementare il pil del Lazio del 2,4 per cento, ovvero lo 0,3 per cento l’anno. Dal Comitato olimpico spiegano poi che con le Olimpiadi si genererebbero attività capaci di produrre un valore aggiunto di 3,961 miliardi di euro per la città e con l’aumento potenziale del flusso turistico (dopo le Olimpiadi, Londra, nel solo 2013, ha incrementato le presenze di 1,3 milioni, diventando la città più visitata al mondo; Torino, dopo i Giochi invernali del 2006, ha sperimentato una crescita degli arrivi turistici pari al 41 per cento rispetto al 2006). Ieri il presidente del Coni, Giovanni Malagò, ha baciato la mano di Raggi in segno distensivo dopo il rifiuto. Chissà se con le maniere galanti il sindaco s’accorgerà di quel che finora non ha voluto vedere.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.