Deutsche Bank (foto laPresse)

Sotto la banca l'Europa crepa

Marco Valerio Lo Prete
Oltre il contagio finanziario. Palazzo Chigi non disdegna un pizzico di retorica anti tedesca: rende popolari alcuni conflitti a livello europeo, sulla politica fiscale come sull’immigrazione. L’avvicinarsi del referendum potrebbe favorire tale retorica. Eppure il flop di Deutsche Bank è invitante ma rischioso da brandire per Renzi.

Roma. Venerdì pomeriggio le azioni di Deutsche Bank (Db) si sono risollevate dallo scivolone subìto in mattinata, quando il titolo del più grande gruppo creditizio tedesco aveva perso quasi il 9 per cento alla Borsa di Francoforte, arrivando sotto la soglia di 10 euro per azione, mai così in basso dal 1983. Devono aver funzionato le parole dell’amministratore delegato John Cryan, secondo il quale Db non ha mai avuto un bilancio così solido negli ultimi vent’anni. Ma soprattutto, a generare sollievo, c’è la convinzione che alla fine il governo americano ridurrà l’ammontare della multa comminata a Db per via di alcune irregolarità, multa stimata al momento in 14 miliardi di dollari.

 

L’ad Cryan ha parlato di “speculazioni” in corso: “Ci sono alcune forze di mercato che vogliono indebolire la fiducia che abbiamo in noi stessi”. Hans-Walter Peters, presidente dell’Associazione delle banche tedesche, ha evocato ondeggiamenti “basati sulle speculazioni, più che sui fatti”. Nel momento in cui era più forte dunque il “dàgli allo speculatore” da parte tedesca, il presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi, si è limitato a un commento sobrio: “Sono certo che le autorità tedesche faranno tutto ciò che è necessario per evitare che la crisi di Deutsche Bank si aggravi”. Condito da un riferimento alla situazione complessiva delle banche europee: “Abbiamo sempre detto che sul tema del credito l’Ue deve fare tutto ciò che serve per rimettere a posto la situazione delle banche. Comunque, pieno appoggio al governo tedesco nella speranza e nella convinzione che saprà fare fronte alle problematiche di Db”. Eppure in passato Renzi, a più riprese, aveva utilizzato ben altri toni, per esempio quando a metà settembre aveva invitato il governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, a “occuparsi dei derivati delle banche tedesche” invece che “dare pagelle agli altri”.

 

Roma negli scorsi anni è stata messa in minoranza sulla stesura delle norme per il bail-in (il salvataggio degli istituti senza soldi pubblici, a carico di azionisti, obbligazionisti e risparmiatori); poi il nostro settore creditizio è uscito malconcio dagli stress test del 2014; quindi il governo e la Banca d’Italia si sono visti respingere da Bruxelles il piano per una soluzione di sistema al problema delle sofferenze in bilancio; infine l’esecutivo è inciampato nella gestione problematica delle quattro banche fallite (Banca Marche, Banca Popolare dell’Etruria, Cassa di risparmio di Chieti e di Ferrara), con il dossier Mps tutt’altro che chiuso. C’è forse nel governo un senso di rivalsa per le attuali difficoltà tedesche? Venerdì, sulla Stampa, il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, è stato per una volta meno diplomatico e benevolo del premier: “Così come i problemi delle sofferenze vanno risolti in tempi ragionevoli, così deve essere per quelli di Db”.

 

Palazzo Chigi non disdegna di per sé un pizzico di retorica anti tedesca: spesso è servita per rendere popolari e immediatamente comprensibili alcuni conflitti che esistono a livello europeo, sulla politica fiscale come sull’immigrazione. L’avvicinarsi della scadenza elettorale referendaria potrebbe favorire tale retorica. D’altronde venerdì anche il Wall Street Journal, in un editoriale moderatamente favorevole alla riforma costituzionale, sosteneva che chiedere più governabilità può essere popolare, ma chiederla in un momento in cui le scelte di politica economica vengono interpretate – a torto o a ragione – come calate dall’alto della burocrazia brussellese rischia di essere ben meno popolare. Cosa potrebbe frenare dunque l’esecutivo dall’infierire sulle difficoltà tedesche? Per esempio la convinzione, ribadita venerdì su queste colonne dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, che occorre “farla finita con la mancanza di fiducia reciproca”. Dal continuo rinfacciarsi di colpe tra Roma e Berlino – ritiene il numero uno della Banca d’Italia – è tutta l’Unione monetaria a uscire indebolita. Si vedrà fino a che punto Renzi è disposto a prestare ascolto a Visco.