Legge Caprotti
Forse è stato l’estremo tentativo per rianimarlo, per suscitare una sua reazione, perché è difficile immaginare che Bernardo Caprotti avrebbe approvato quella mezza giornata di chiusura per lutto dei supermercati Esselunga. L’imprenditore lombardo che ispezionava di persona i punti vendita, che conosceva ogni singolo scaffale dei suoi negozi, che aveva sovrapposto la sua vita a quella della sua azienda fino a sacrificare rapporti umani e affettivi, se avesse immaginato la serrata dei suoi supermarket forse avrebbe provveduto a inserire un “The store must go on” nel suo testamento. Probabilmente i manager dell’azienda – che adesso ha nominato come presidente Piergaetano Marchetti, ex presidente di Rcs – conoscendo benissimo il Dottore hanno fatto una cosa a lui gradita, sicuramente sono stati mossi da sincero dolore, ma l’impressione dall’esterno è che i gesti per ricordare l’innovatore della distribuzione in Italia non siano proprio in linea con lo “spirito Caprotti”.
Gli altri esempi vengono dalla politica, che con il consiglio comunale di Milano e il sindaco Sala si è mossa per assegnargli un Ambrogino d’oro – la massima onorificenza meneghina – o per dedicargli una strada. Ma questi riconoscimenti, per una persona che ha cercato sempre di vivere lontano dai riflettori e che era infastidita dalla riconoscibilità che non gli permetteva più di vigilare tra le corsie in anonimato, non avrebbero entusiasmato Mr. Esselunga. In vita, per almeno un paio di volte, Caprotti aveva delicatamente detto “no, grazie” all’Ambrogino: “Ringrazio di cuore chi mi candida, ancora una volta. Ne sono molto grato ma non è mia abitudine accettare questo tipo di riconoscimenti”. Con lo stesso criterio si può immaginare che avrebbe declinato l’offerta di intitolargli una strada.
Piuttosto avrebbe preferito che le amministrazioni comunali sbloccassero qualche autorizzazione ferma da anni per la costruzione di un nuovo store. In questo senso il dibattito in consiglio comunale, che si è espresso a favore di una strada in suo nome, è stato istruttivo, non tanto per le condivisibili motivazioni alla base della decisione votata da Forza Italia e parte del Pd, ma per le ragioni con cui la sinistra milanese si è espressa contro: “E’ stato un imprenditore di successo e per certi versi un innovatore – ha detto una consigliera – ma la sua è una biografia controversa per le relazioni con i sindacati e anche per le domeniche di apertura. E lo dice una persona che fa la spesa la domenica”. Ecco il punto: Caprotti non ha inseguito onorificenze e consensi politici, ma, come nel caso delle aperture domenicali, ha cercato la soddisfazione dei clienti. E non lo ha fatto per spirito di beneficenza, ma alla maniera del macellaio di Adam Smith: ha curato in modo maniacale i propri interessi rendendo la vita più facile e la spesa più conveniente agli altri.
Per perseguire la propria idea imprenditoriale e questo obiettivo, Caprotti si è scontrato con la lentezza e la discrezionalità delle amministrazioni nel rilascio delle autorizzazioni (per aprire a Firenze ha dovuto aspettare 43 anni), con l’intreccio politico economico che impediva una sana concorrenza alle Coop in alcuni territori (il suo libro sul tema, “Falce e carrello”, all’inizio fu ritirato dal mercato su ordine della magistratura), con le pastoie burocratiche e sindacali che imbrigliavano la sua azienda e i suoi progetti. Se questo è lo “spirito Caprotti”, allora c’è qualcosa che la politica può fare in sua memoria: approvare una incisiva legge sulla Concorrenza, ormai bloccata da quasi due anni in Parlamento dai veti delle varie corporazioni. Sarebbe un omaggio gradito al Dottore e ai tanti ignoti Caprotti che cercano, tra mille ostacoli, di fare impresa.