Voglia di “tapering” alla Bce tra spifferi, smentite serie e ipotesi pazze
Milano. Avanti con il Quantitative easing finché serve. A leggere i verbali dell’ultima riunione del direttivo della Banca centrale europea si ha la sensazione che i mercati siano stati vittima di un pesce d’aprile fuori stagione. O, come nota Giuseppe Sersale, strategist di Anthilia, “oggetto di uno scherzo da prete”. Altro che “tapering”, cioè la riduzione progressiva degli acquisti di titoli da parte della Banca centrale, come ipotizzava Bloomberg citando “fonti interne” dell’Istituto. “E’ di fondamentale importanza – si legge nelle minute – conservare il livello di sostegno monetario contenuto nelle stime dello staff”. E ancora: “Non ci dovrebbero essere dubbi sulla determinazione del consiglio direttivo a far sì che il programma di acquisto titoli si svolga in linea con le decisioni prese in passato e ad adottare ulteriori misure, se necessario, per raggiungere l’obiettivo della stabilità dei prezzi”.
Insomma, il Qe è più vivo che mai. Forse non sarà potenziato nella prossima riunione di fine ottobre, ma qualcosa si farà prima della fine dell’anno: l’allungamento del programma di acquisti, che dovrebbe scadere a marzo; oppure le altre soluzioni tecniche che Mario Draghi è pronto a tirare fuori dal cassetto, vedi l’allargamento della rosa dei titoli da acquistare. Eppure, non è facile archiviare la reazione dei mercati, dopo lo scoop di martedì dell’agenzia americana, come un semplice incidente di percorso. E’ senz’altro improbabile, quasi impossibile che un articolo campato sul nulla possa riportare i Bund tedeschi in terreno positivo dal limbo dei rendimenti sotto zero che tanto dispiacciono a Wolfgang Schäuble. Oppure possa risvegliare l’attenzione per le banche, il settore più depresso che in questi giorni vive un improvviso risveglio. E così, come scrive il Financial Times, “gli operatori si dividono tra chi pensa che non esiste fumo senza arrosto e chi pensa che qualsiasi riduzione del Qe sia al momento prematuro”. Tra questi figura Jp Morgan per cui è “improponibile una mossa de genere prima che si risvegli l’inflazione”.
Al contrario, Frederik Ducrozet di Pictet sposa un’altra teoria: la prospettiva di una frenata anticipata del Qe serve ad ammorbidire l’opposizione dei falchi, decisi ad opporsi all’estensione del programma di acquisti di altri sei mesi, fino al settembre 2017. “Potrebbe essere una concessione a Hens Weidmann – dice – Un modo per garantirgli che è già una strategia per uscire dal Quantitative easing nonostante un suo rafforzamento nel breve termine”. Andrà così? Di certo Schäuble e Angela Merkel non intendono presentarsi alle elezioni dell’autunno 2017 con i tassi a zero o anche sotto che, a detta del ministro delle Finanze, sono la causa principale dei rovesci elettorali della Csu-Csu presso i ceti medi. La crisi della Deutsche Bank e, più ancora, di Commerzbank, impongono un rialzo dei tassi attivi che dia sollievo al conto economico delle banche.
Infine, le imprese tedesche scoppiano di liquidità che faticano ad impiegare, visti i tassi negativi praticati da Francoforte, anche perché ben si guardano dal riprendere gli investimenti a sud delle Alpi. Non saranno questi argomenti a smuovere Draghi dalla convinzione che “i tassi bassi sono la conseguenza, non la causa della crisi”. Ovvero, che non esiste alternativa alla politica attuale, salvo una frattura dalle conseguenze imprevedibili. Ma il fatto stesso che ieri da Washington, il commissario europeo agli Affari economici, il francese Pierre Moscovici, sia dovuto scendere in campo assicurando “il pieno sostegno a Draghi” dimostra che la situazione è più complessa e agitata di quanto non appaia. Anche perché l’effetto del Qe è stato, per certi versi, meno brillante del previsto: l’inflazione stenta a risalire, i quattrini si fermano spesso nelle banche senza approdare alle imprese. E i tassi zero hanno messo a nudo i problemi del sistema bancario. In Germania, soprattutto. Al di là del “tapering,” ci sono i limiti della politica monetaria, che funziona bene in certe circostanze che oggi in Europa sono merce rara.