C'è un caso di aiuto pubblico portoghese alle banche che fa pensare a Mps
Roma. Negli uffici di Margrethe Vestager, commissaria europea per la Concorrenza, non arrivano più telefonate da Roma. La via del negoziato con la Commissione europea per una soluzione al problema del Monte dei Paschi di Siena si è chiusa ai primi di luglio. Chiusa tra i malumori, dopo che la stessa responsabile della Concorrenza aveva respinto la richiesta italiana di un intervento pubblico in deroga alle norme sul bail in. A quel punto sono scattati i chiavistelli. L’Italia ha scelto una “fully private solution” dicono ora da Bruxelles, leggasi aumento di capitale irto di ostacoli assistito da JP Morgan e Mediobanca. In una recente lettera al Corriere della Sera, il ministro dell’Economia Padoan è stato liquidatorio: massicce iniezioni di soldi pubblici nelle banche sono “impraticabili e non necessarie” (anche se in un’intervista al Foglio il governatore della Banca d’Italia Visco era sembrato di parere diverso). Inutile parlare con Bruxelles, insomma. La chiusura del negoziato con la Commissione aveva, per carità, una sua logica. Alla richiesta italiana, infatti, la Vestager aveva controproposto una soluzione che ricalcava grosso modo le modalità con cui nel 2015 era stata salvata, con esiti disastrosi, la banca portoghese Novo Banco: iniezione di soldi pubblici cioè, accompagnata da una penalizzazione limitata essenzialmente agli investitori istituzionali possessori di obbligazioni subordinate, che aveva portato a una crisi di fiducia degli investitori esteri. Dieci mesi dopo tuttavia, il quadro appare cambiato.
E il Portogallo è di nuovo sulla scena, ma questa volta non da vittima sacrificale delle ferree regole del bail in, ma da sapiente aggiratore delle stesse con il beneplacito della Commissione. E’ successo il 24 agosto, quando Bruxelles ha dato il suo via libera al piano di salvataggio con soldi pubblici della Caixa geral de depositos, primo istituto portoghese per asset, senza passare per un bail in, parziale o totale che fosse. Un’operazione che a giudizio dei giuristi potrebbe costituire un precedente interessante. Il via libera di Bruxelles alla Caixa è arrivato sulla base di due considerazioni: da una parte, il piano di ristrutturazione giudicato “chiaro e sufficientemente dettagliato” da assicurare un rendimento abbastanza elevato ai fondi immessi dallo stato, dall’altra il coinvolgimento in parallelo del capitale privato e il rigoroso rispetto del principio così detto del private investment criterion, cioè lo svolgimento a condizioni di mercato dell’operazione.
Nel dare via libera la Commissione ha chiarito che la natura della proprietà (la Caixa è al 100 per cento dello stato) non rileva, se è salvo il private investment criterion. Con l’ok di Bruxelles, Lisbona immette capitale fresco per 2,7 miliardi nell’istituto, trasforma in azioni quasi un miliardo di bond convertibili in suo possesso, trasferisce azioni governative per un controvalore di 500 milioni in una sussidiaria della Caixa: soprattutto la banca si impegna a collocare sul mercato un prestito subordinato da 1 miliardo che secondo gli analisti potrebbe costare all’istituto fino al 10 per cento annuo di interesse. La situazione del sistema creditizio portoghese ha una straordinaria analogia con quella del settore in Italia. Il salvataggio della Caixa cifra 5,2 miliardi di euro, poco più di quello di Mps, e si somma alla necessità di vendere sul mercato Novo Banco, la good bank scaturita dal fallimento del Banco Espirito Santo che ricorda la questione analoga delle 4 good bank italiane. Il volume dei crediti deteriorati è pari a circa il 10 per cento del pil, il debito pubblico intorno al 130 e salirà ancora dopo la ricapitalizzazione di Caixa per ammissione delle stesse autorità. Il Monte dei Paschi potrebbe seguire la via portoghese?
Secondo una fonte vicina al dossier, la decisione di Bruxelles riflette un “approccio flessibile e apre una finestra di opportunità per operazioni future”. “La vicenda della Caixa mostra che la Commissione usa molta discrezionalità nella valutazione degli aiuti – dice Alberto Pera, ex segretario generale dell’Antitrust ed esperto di aiuti in campo bancario – Non si vede perché la flessibilità usata nel caso portoghese non possa essere applicata al Monte dei Paschi che ha già avviato una positiva ristrutturazione interna. La significativa iniezione di fondi privati ora prevista dovrebbe garantire che un eventuale uso di risorse pubbliche avverrebbe a condizioni di mercato senza che si configurino aiuti di stato”. In effetti, il Monte è in utile, mentre la Caixa ha perso 200 milioni solo nel primo semestre. A meno che Bruxelles non ritenga per motivi che non è dato sapere che l’istituto italiano versi in condizioni prossime al dissesto, situazione questa che in base alla direttiva esclude la deroga al bail in, la via portoghese sembrerebbe in linea di principio praticabile. Il governo vuole evitare lo stigma del giudizio europeo? Possibile. Ma una cosa è certa: lo scorrere del tempo non sembra facilitare una soluzione alla crisi della banca più antica del mondo.