Angela Merkel e Matteo Renzi (foto LaPresse)

Corsi e ricorsi russi

Marco Valerio Lo Prete
Roma sbianchetta la voglia di nuove eurosanzioni contro Mosca. Retroscena e conseguenze (incerte) - di Marco Valerio Lo Prete

Roma. Il governo italiano, nella notte di giovedì, ha guidato la fronda degli esecutivi dell’Unione europea contrari all’annuncio di nuove possibili sanzioni economiche contro la Russia per il suo comportamento nel teatro siriano. E la fronda alla fine l’ha avuta vinta. A dimostrarlo c’è il disappunto espresso pubblicamente da Angela Merkel nel pomeriggio di venerdì. Nelle conclusioni del Consiglio Ue dei capi di governo – ha detto la cancelliera tedesca – si parla di “tutte le opzioni a disposizione” per fermare “le atrocità in atto” in Siria, ma non si menzionano le sanzioni come invece era previsto nelle prime bozze del comunicato finale. “E’ il minimo che siamo riusciti a concordare – ha detto Merkel – ma io invece avrei accolto con favore il testo originario”. La cancelliera non ha voluto fornire dettagli ulteriori sul dibattito tra i 28 paesi dell’Ue, mentre il presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi, è stato più loquace: “Siamo stati tra i più decisi nell’impostare una linea che però non è solo italiana”. Ancora: “Alcuni pensavano che evocare possibili sanzioni potesse costituire un deterrente. Tutti noi sappiamo che ciò avrebbe costituito un alibi per la propria discussione interna, ma non un deterrente”.

 

Le prime ricostruzioni di quanto accaduto a Bruxelles parlavano di un fronte pro sanzioni costituito da tutti i pezzi da novanta del Consiglio Ue: Germania, Francia e Regno Unito. Come è possibile che Roma abbia capovolto tale equilibrio, per di più alla fine di una settimana concitata sull’asse Washington-Mosca? Da una parte il segretario generale della Nato che allerta gli alleati sul passaggio di navi russe vicino alla costa norvegese, poi nel Mediterraneo e infine alla volta della Siria: un dispiegamento di forze “anormale”, lo ha definito. Dall’altra parte il candidato più vicino a conquistare la Casa Bianca il prossimo 8 novembre, la democratica Hillary Clinton, nell’ultimo dibattito ha fatto capire che “avrà con la Russia la relazione più conflittuale di quella di ogni altro presidente negli ultimi tre decenni”, ha scritto il New York Times. A chi chiede spiegazioni sulla sortita inattesa di Roma, Palazzo Chigi risponde che “non bisogna sottostimare il peso attuale dell’Italia in Europa, specie dopo la recente accoglienza riservata da Barack Obama a Renzi”. Altri insider fanno notare che il Consiglio Ue predilige in linea di massima le decisioni consensuali. Solo che a un tratto, giovedì notte, il consenso è venuto a mancare: l’Italia infatti non si è mossa in solitaria ma ha catalizzato i malumori di Spagna, Austria, Cipro e Grecia. Né i toni di Merkel sono ritenuti credibili da tutti i paesi nordici e orientali che pure – per ragioni storiche e geografiche – condividono un acceso anti putinismo: proprio ieri il ministro degli Esteri della Polonia, Konrad Szymanski, ha scritto sul Financial Times che il progetto di gasdotto Nord Stream 2 tra Russia e Germania, caldeggiato da Berlino, mette a rischio l’unità europea al cospetto dell’Orso. E’ anche cavalcando il sospetto di “doppiogiochismo” tedesco che il governo italiano, mentre sbianchettava il passaggio sulle sanzioni, otteneva di inserire un riferimento alla necessità di un approccio “strategico” sulle relazioni con la Russia. Ma se ieri era il giorno dell’orgoglio diplomatico italiano, gli analisti legittimamente s’interrogano su quanto possano essere duraturi gli effetti della presa di posizione europea.

 

Vista dalla Germania, la mossa dell’Italia sulle sanzioni russe è sospettata di “politicismo”: già alla fine del 2015 Roma aveva alzato i toni sulle relazioni con Mosca mentre era in discussione la “flessibilità fiscale” sulla manovra da strappare a Bruxelles. Allora Renzi disse di rifiutare qualsiasi “automatismo” sul rinnovo delle sanzioni economiche imposte alla Russia dopo la crisi ucraina del 2014. Al Consiglio europeo che si tenne a giugno, Roma poi si allineò con la maggioranza dell’Ue e votò per il prolungamento delle sanzioni; in cambio, ottenne un impegno formale a ridiscutere le relazioni con la Federazione russa nel Consiglio successivo. Quello di giovedì e venerdì scorsi, appunto. Sarebbe stato dunque paradossale che in questa occasione, invece di mettere in discussione le attuali sanzioni anti Russia, come voleva l’Italia, si fosse aperto formalmente il dossier di nuove sanzioni per la situazione siriana. Fonti diplomatiche confermano che le sanzioni ucraine, tra giovedì e venerdì, non sono state praticamente discusse. Sotto questa luce, il successo di Roma  non appare più come un colpo da k.o. contro Bruxelles, ma piuttosto come un pareggio ai punti. Così ora in ambienti vicini al presidente del Consiglio italiano c’è chi critica la gestione della Farnesina: il ministro Paolo Gentiloni è sempre stato esplicitamente contrario all’inasprimento delle ritorsioni economiche anti Mosca, ma lui e la sua struttura potrebbero aver peccato di leggerezza nel non intercettare – nei vertici informali degli scorsi giorni, ristretti a Italia, Regno Unito, Francia e Germania – l’accelerazione anti putiniana dei colleghi inglesi, francesi e tedeschi. Gli attriti tra Palazzo Chigi e Farnesina sul voto italiano anti Israele in sede Unesco, da cui venerdì Renzi ha preso le distanze – dovendo poi precisare di non aver “convocato” Gentiloni per spiegazioni – confermerebbero un periodo non esattamente di grazia per il ministro.

 

Renzi comunque ha ribadito che non agisce “da Gian Burrasca” ma “a difesa dell’interesse nazionale”. “La posizione italiana presa a Bruxelles non è contraddittoria e riflette l’opinione degli italiani, dell’establishment politico e soprattutto della comunità d’affari del paese”, ha commentato l’ambasciatore di Mosca in Italia, Sergei Razov, parlando al Forum Eurasiatico di Verona dove era rappresentata gran parte del business tricolore attivo in Russia. Sempre da lì era già intervenuto Mauro Moretti, ad di Leonardo Finmeccanica: “La posizione espressa da Renzi non è cosa da poco, anche perché arrivava dagli Stati Uniti. Ci voleva un certo coraggio”. “Tuttavia in questa fase storica – avverte parlando al Foglio Angelo Tantazzi, presidente del pensatoio Prometeia – volatilità politica e geopolitica continuano a prevalere sugli aspetti economico-finanziari”.

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