Ricerca e soldi pubblici, le risposte che servirebbero
Le commissioni Sanità e Istruzione del Senato hanno un’occasione che non si dava da tempo. Attraverso le audizioni sull’affaire Human Technopole (HT), che iniziano oggi, non solo potranno fare chiarezza su una vicenda dai contorni opachi, ma anche illuminare il Parlamento e il governo sulle buone pratiche internazionali di politica della ricerca e dell’innovazione.
Il presidente del consiglio Renzi interviene a Human Technopole (foto LaPresse)
1) La prima questione sulla quale servirebbe chiarezza è come mai il progetto per una grande infrastruttura destinata alla ricerca e all’innovazione nel campo delle scienze della vita sia stato gestito dal ministro delle Politiche agricole che ha reclutato il direttore di un ente di ricerca, l’Istituto italiano di tecnologia, IIT, senza procedura concorsuale nota, e ignorato le linee guida del ministero dell’Università e della ricerca. Il Miur ha da tempo predisposto una “roadmap” per la progettazione e realizzazione di “large scale facilities”, del tipo di HT. Queste linee guida e altre simili sono state adottate per creare centinaia di infrastrutture di ricerca nel mondo. Perché si è deciso di ignorarle?
2) E perché si sia proceduto all’affidamento diretto del progetto esecutivo a un ente di scelta governativa, trasferendo ingenti fondi pubblici? Il tutto senza alcun bando di gara, cioè senza competizione? Nel mondo sviluppato i governi che varano “top down” queste iniziative, decidono il tema o l’area, dove vogliono stimolare della “big science”, ma non chi scriverà il progetto, chi lo realizzerà, chi guiderà i laboratori, a chi arriveranno i fondi pubblici, eccetera. Questi aspetti sono lasciati a bandi competitivi internazionali. Perché si è deciso di affidare a IIT tutto quanto? Si è fatto un mezzo passo indietro, con un decreto che sembra avere quale unico scopo far partire l’operazione in mano a IIT, ma senza garanzie sulla continuità del progetto, né un piano con previsioni dettagliate e strutture di controllo, sopra ogni sospetto.
3) Le audizioni delle commissioni parlamentari dovranno cancellare il timore che l’operazione HT sia stata inventata per sanare i bilanci di Expo 2015. Uno stato europeo non può aiutare direttamente le imprese private o le partecipate pubbliche, quali ad esempio Arexpo Spa o qualche impresa creditrice di Expo2015, a saldare debiti. Vi è un’eccezione: il finanziamento delle attività delle infrastrutture di ricerca. Queste ultime non devono però servire da paravento per aggirare il divieto, facendo arrivare fondi ai destinatari finali desiderati, per il tramite di un soggetto – “fondazione privata” – controllato direttamente dal ministero dell’Economia. Se questo fosse il gioco, HT si rivelerebbe quella che la senatrice e scienziata Elena Cattaneo ha chiamato “toppa glamour”, per coprire il buco di Expo 2015.
4) Una volta capito perché HT è nato così male, si tratterà di affrontare la questione IIT. Si potrà fare un bilancio dei tredici (o anche dieci) anni di attività di IIT, che hanno visto questa fondazione di diritto privato drenare ogni anno, dal 2004, circa 100 milioni di finanziamenti pubblici destinati a ricerca e trasferimento tecnologico, senza contare il patrimonio assorbito dall’ex Iri (quasi 130 milioni che dovevano andare alla ricerca). L’investimento-fiume dello stato ha generato un ente in grado di produrre meglio di altri per ogni euro speso? Il “modello IIT” e il privilegio che i suoi ricercatori hanno nel non competere con i loro colleghi per meritare il denaro pubblico, è davvero un modo più efficiente per generare ricerca e innovazione?
5) Le commissioni potrebbero chiedersi se all’Italia non convenisse investire nell’apporto competitivo di idee che emergono liberamente (anche quelle che IIT potrebbe mettere in campo), invece che in un piccolo ente pressoché sconosciuto nel settore, prima di HT. Una valutazione indipendente, di tecnici non cooptati da IIT e liberi dal vincolo di “negoziazione” di ogni loro parola con IIT, a oggi manca.
6) Le commissioni dovranno stabilire se davvero IIT sia l’unico soggetto in Italia in grado di realizzare grandi infrastrutture di ricerca. Si controlli quanto sia veritiera la propaganda che IIT alimenta battendo a tappeto ogni spazio mediatico e ogni possibile luogo pubblico pagandosi una campagna pubblicitaria con gli stessi soldi che dovrebbero finanziare la ricerca, per presentare IIT come un ente che “merita” i privilegi che gli sono accordati.
7) Si tratterà anche di capire se gli oltre 500 milioni di euro di IIT, depositati in conti e titoli, sono frutto di oculata gestione dei primi anni (quanti poi?), senza che anche in anni recentissimi si sia assistito a una crescita del patrimonio depositato per esempio in Banca d’Italia. Smentendo quanto messo per iscritto da IIT, il suo direttore scientifico ha detto in un’intervista televisiva che i soldi “targati IIT” in Banca d’Italia possono essere spesi solo dallo stato per ogni scopo che ritenga utile. E’ vero? Se sono in capo al governo, perché non destinarli alla ricerca pubblica, visto che tale era l’utilizzo previsto?
8) IIT sostiene che il suo sistema di reclutamento è migliore di quello delle università e del Cnr, tanto da essere questo uno dei motivi che avrebbero portato alla scelta di realizzare HT e assumere 1.500 ricercatori. In realtà, sono molti gli enti pubblici (e non solo) italiani che reclutano dal mondo. Erogando con i fondi pubblici stipendi dignitosi potrebbero fare anche meglio. IIT eroga, anche alla dirigenza, gli stipendi che liberamente decide – rispettando la legge ma senza preoccuparsi di giustificarne l’entità.
9) La dirigenza di IIT sostiene che l’ente equivale al Max Planck o al Fraunhofer. Ma questi sono indipendenti dal governo e dalla politica, e amministrati attraverso un sistema elettivo di rappresentanza.
10) Le commissioni potranno accertare se sia vero che IIT si avvale dei soldi pubblici, che ri-eroga a ricercatori italiani denutriti (nelle università pubbliche, al Cnr e altro), per “acquisire” le loro scoperte, cioè sfruttando il vantaggio della cassa di cui dispone e la sperequazione; se sia vero che il robottino iCub è una storia di successo, o se mettendo a bando tutti i soldi che IIT ha speso in robotica si poteva fare meglio, come hanno scritto alcuni specialisti italiani; e, infine, quanto denaro pubblico, oltre a quello fin qui documentato, è entrato nelle casse di IIT.
Altro ancora si potrebbe chiedere. Sempre che alle commissioni e al governo interessi conoscere e rendere conto ai cittadini di come si spendono i loro soldi sotto la voce “ricerca scientifica”.