La Xi Jinping Inc. la dice lunga sullo "status" dell'economia cinese
Roma. Mentre a Pechino si riunisce il sesto plenum del Partito comunista cinese, ultima riunione prima del Congresso del 2017, ufficialmente per discutere di leadership e corruzione, l'Unione Europea ha dimostrato di arrabattarsi sulla "questione cinese" – la Cina è economia di mercato o no? – con compromessi al ribasso ed è pronta a rivedere anche le misure anti dumping che fino ad oggi hanno salvaguardato la nostra industria. A Pechino invece le idee sono chiare al punto che senza troppi giri di parole il presidente cinese Xi Jinping ha appena riunito i top manager di un centinaio di aziende di stato portando il messaggio che "il Partito comunista conta più di ogni consiglio di amministrazione" perché è "la radice e l'anima della società".
Basterebbe già questo a mettere sull'attenti un'Unione europea che, dopo il Consiglio dei capi di stato e di governo appena conclusosi a Bruxelles, non riesce a trovare la quadra sul riconoscimento dello status di economia di mercato all'ex Impero di mezzo. Già perché c'è ancora molta confusione nella dichiarazione finale emersa dal vertice europeo dove con l'obiettivo di "aggiornare le regole di difesa da pratiche commerciali sleali, così da proteggere posti di lavoro, industrie e modernizzare il tessuto economico dell’Ue” si è di fatto aperto il capitolo della revisione dei dazi anti dumping, unico strumento di difesa commerciale per interi settori, da quello siderurgico al manifatturiero, rispetto all'invasione cinese.
In pratica per evitare di riconoscere a Pechino il market economy status si è ipotizzata nuova metodologia che cancellerà, ma solo per l'Unione europea, le liste di paesi che non sono economie di mercato. Un escamotage che porterà al ridimensionamento dei dazi che verranno decisi caso per caso e con l'onere della prova che toccherà alle imprese europee coinvolte e che si sono sentite danneggiate dalla concorrenza sleale. Un suicidio per industriali siderurgici ma anche per Aegis, l'associazione europea che rappresenta oltre trenta settori industriali, che con il suo portavoce Milan Nitzschke è stata categorica: “invece di rafforzarci ci indeboliamo: a vincere sarà ancora una volta la Cina".
Eppure basterebbe proprio partire dalle parole, riportate con grande evidenza dall'agenzia di stampa statale Xinhua, del presidente cinese Xi, che per l'occasione aveva alla sua destra il responsabile per il controllo ideologico Wang Qishan e alla sua sinistra quello dell'anticorruzione Liu Yunshan, per comprendere che la Cina non è un'economia di mercato. Quello che "conta è il partito" ha ricordato ai manager il numero uno del Partito comunista e anche la riforma sul controllo delle aziende da aprire ai privati, per quanto più volte annunciata, è lontana dal realizzarsi. Eppure questa è la prima prerogativa che un Paese deve adottare per vedersi riconoscere la propria economia come di mercato. Gli altri quattro criteri: sottoporre le imprese a revisione contabile indipendente, fare sì che i costi di produzione e la situazione finanziaria delle imprese non siano soggette a distorsioni di rilievo, la certezza del diritto in materia fallimentare e la liberalizzazione dei tassi di cambio; non sono neanche stati prese in considerazione dai vertici del partito comunista cinese.
Nell'ottica di Xi, le aziende pubbliche devono "diventare campioni e fondamenta del comunismo" sfruttando a loro favore iniziative che la Cina ha messo in cantiere come la One Belt One Road, il piano d'investimento per il rilancio della Via della Seta attraverso una rete di infrastrutture e logistica. Le aziende sono "un prolungamento dell'azione del Partito comunista anche oltre i nostri confini" ha detto. Un discorso che anticipa il Plenum del Partito comunista di lunedì prossimo che preparerà il congresso previsto in autunno. Con le parole di Xi, ha scritto sul Quotidiano del Popolo, il professor Zhang Xixin, membro della Scuola centrale del Partito, il governo obbliga il management “ad abbandonare il modello di governance aziendale ispirato ai canoni occidentali e a cercare una nuova via cinese all'economia”. Che, però, è davvero lontana dal potersi chiamare di mercato. Almeno per i nostri standard.