Il presidente del Consiglio Matteo Renzi (foto LaPresse)

Perché il No al referendum aumenta la pressione politica sui vertici delle partecipate

Alberto Brambilla
Le banche d’affari cominciano a valutare i rischi relativi alle eventuali e conseguenti dimissioni del governo Renzi per le aziende della “corporate Italia”, ovvero i campioni nazionali controllati dallo stato. Report di Mediobanca

Roma. Mentre la maggior parte delle società demoscopiche dà in vantaggio il No al referendum costituzionale del 4 dicembre, le banche d’affari cominciano a valutare i rischi relativi alle eventuali e conseguenti dimissioni del governo Renzi per le aziende della “corporate Italia”, ovvero i campioni nazionali controllati dallo stato. Il team di analisti di Mediobanca Securities con sede a Londra in un recente report si concentra sulle partecipate di stato i cui vertici furono appunto decisi da Matteo Renzi subito dopo la nomina a presidente del Consiglio, nel febbraio 2014, e che sono in scadenza la primavera prossima. In caso di No – l’esperienza Brexit insegna – Mediobanca ritiene probabile che all’indomani del voto le aziende a maggiore capitalizzazione, più liquide e facili da vendere, siano quelle più esposte a prese di profitto da parte degli investitori. Se poi si dovesse arrivare alle dimissioni del governo, Mediobanca ritiene che “il mercato possa pesare il rischio derivante dalla potenziale sostituzione (managerial change discount) in quelle compagnie che dovranno confermare il management nel secondo trimestre del 2017 con l’approvazione del governo” come Enel, Eni, Finmeccanica e Poste Italiane.

 

Quello di Mediobanca rappresenta un esercizio fattuale da parte di chi analizza il rischio politico e finanziario – non è detto che vinca il No, che Renzi si dimetta, e che un eventuale nuovo premier rimescoli completamente le partecipate – ma dà l’opportunità di intravedere le possibili conseguenze del voto referendario sulle principali società quotate i cui amministratori di nomina governativa hanno impostato strategie di lungo periodo e potranno continuarle solo se riconfermati in primavera. Con l’ad Francesco Starace, Enel ha riorganizzato il business latino-americano, realizzato il delisting di Enel Green Power (rinnovabili), venduto asset ritenuti non più centrali come Slovenske Elektrarne in Slovacchia e acquisito Metroweb per fare da pivot del piano renziano di diffusione della banda larga. Il lavoro del management, dice Mediobanca, è stato apprezzato dal mercato e un rivolgimento sarebbe visto come “un catalizzatore negativo” per il titolo. Allo stesso modo, se venisse scelto un nuovo team per guidare la compagnia petrolifera Eni in discontinuità rispetto alla gestione dell’ad Claudio Descalzi “ci potrebbero essere delle conseguenze negative sull’azionario in quanto – dice Mediobanca – Descalzi è tenuto in buon riguardo dal mercato avendo iniziato un programma di ristrutturazione che punta a migliorare la profittabilità della divisione Energia & Gas, in difficoltà, e al successo del piano di dismissioni per 7 miliardi di euro”, che permetterebbe al gruppo di rispettare la promessa di dividendi di cui beneficia lo stato, maggiore azionista col 30,1 per cento. Descalzi è l’ad che si è intestato la scoperta del megagiacimento Zohr in Egitto, l’avvio della produzione del Kashagan in Kazakistan, dopo anni di ritardi, e ha modificato le direttrici d’espansione di Eni da Europa-Russia a Europa-Africa.

 

Mauro Moretti era stato scelto in discontinuità rispetto alla tradizione di Finmeccanica, unico manager esterno dopo tre interni (Guarguaglini, Orsi, Pansa), e s’è concentrato sulla riorganizzazione della conglomerata della difesa e dell’avionica, nel suo rebranding – ora si chiama Leonardo –, e da qui dovrà puntare alla crescita dei profitti, superando ad esempio un momento di magra per le commesse di elicotteri. Proprio la possibilità che torni a elargire dividendi in aprile, in concomitanza con la scadenza dei vertici, dovrebbe tenere in sella Moretti indipendentemente da rivolgimenti politici, dice Mediobanca. Francesco Caio di Poste Italiane, dopo avere avviato la quotazione in Borsa nel 2015, da completare con la quota in mano al Tesoro, deve valutare l’acquisizione di Pioneer, società del risparmio gestito messa in vendita da Unicredit. In questa fase “non sarebbe il momento migliore per cambiare il management”, dice Mediobanca. Insomma, sostiene il report, perché qualcosa possa cambiare davvero, nelle partecipate, è preferibile la continuità ai vertici dei campioni nazionali. (a.bram.)

 

  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.