Agricoltura, turismo e manifattura. C'è un Mezzogiorno che cresce
Roma. La crisi ha colpito duro nel Mezzogiorno, più che nel resto del paese e nel resto d’Europa, con l’eccezione forse della Grecia: il tessuto produttivo resta fragile, la disoccupazione soprattutto giovanile è elevata, la produttività è bassa, il rischio povertà è diffuso e tra calo delle nascite ed emigrazione esiste un problema demografico. All’interno di questo quadro non possono però essere ignorati i numerosi dati positivi degli ultimi tempi, molti dei quali presenti nel “Rapporto Svimez 2016”.
Come ricorda l’Associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno, il 2015 è stato per il Sud un anno di svolta. Dopo 7 anni di cali ininterrotti, il pil meridionale è cresciuto di un punto percentuale, tre decimali più del resto del paese. La caduta è stata forte, il pil pro capite è adesso uguale a quello di dieci anni fa, ma l’inversione di tendenza è sensibile ed è evidente anche dall’aumento dell’occupazione, che al sud cresce di rispetto al nord (anche se c’è più terreno da recuperare). Il mercato del lavoro meridionale ha risposto positivamente agli incentivi, il Jobs act e soprattutto la decontribuzione sulle assunzioni che però si va riducendo ed è solo temporanea, ma naturalmente l’aumento dell’occupazione dipende dalla crescita. Su questo fronte dati positivi vengono dal settore agricolo e dal turismo, con il primo che ha segnato una crescita del valore aggiunto del 7,3 per cento e ha visto aumentare le esportazioni del 15,5 per cento, un tasso doppio rispetto al dato nazionale, e il secondo che ha registrato in un anno un incremento di oltre un milione di presenze straniere al sud (anche a causa del rischio politico-terroristico negli altri paesi del Mediterraneo). Altri dati positivi arrivano dalle telecomunicazioni e dalle costruzioni, un settore che cresce dopo aver risentito pesantemente della crisi.
Questo non vuol dire che il Meridione dovrà affidarsi, secondo il cliché, all’economia del trullo e dell’agriturismo, perché segnali incoraggianti giungono anche dall’industria, che nei sette anni passati ha subìto un crollo drammatico con la perdita di circa un terzo del valore aggiunto. Anche il manifatturiero torna a crescere quasi del 2 per cento (1,9), in una misura superiore al centro-nord (1,4), trainato dall’incremento delle esportazioni che prosegue anche nel 2016.
La buona performance del manifatturiero si registra in diversi settori, ma soprattutto nell’automotive che nel Meridione ha segnato nel 2015 un aumento della produzione del 40 per cento. Il boom dell’automobile è figlio della rivoluzione di Sergio Marchionne, quella che secondo gli strenui oppositori dei nuovi contratti aziendali à la Maurizio Landini avrebbe portato alla desertificazione industriale e alla fine dei diritti dei lavoratori, e che invece il ceo di Fca ha vinto nelle battaglie campali di Pomigliano e Melfi, portando investimenti, occupazione, linee produttive dall’estero e nuovi modelli destinati all’export. A distanza di qualche anno da quel braccio di ferro con la Fiom, Pomigliano – ricordata un tempo come simbolo d’inefficienza per l’assenteismo durante le partite del Napoli e per i cani in giro nello stabilimento – è diventata il fiore all’occhiello della Fiat, la fabbrica con premiata con i livelli più alti del World class manufacturing.
La Sata di Melfi, con il lancio dei nuovi modelli destinati all’estero, la Jeep Renegade e la 500X, ha trainato il boom delle esportazioni della Basilicata che hanno registrato un più 145 per cento. Nell’ultimo rapporto sull’economia della regione, la Banca d’Italia, evidenziando la crescita del settore industriale lucano, cita espressamente “il ruolo rilevante dello stabilimento Fca di Melfi”: “Le esportazioni regionali sono più che raddoppiate rispetto all’anno precedente grazie soprattutto al contributo del settore autovetture. Al netto del comparto, che rappresenta i tre quarti delle vendite regionali all’estero, l’export è cresciuto in modo sostenuto, anche per effetto del buon andamento dell’agroalimentare e del petrolio” (non è un caso se i No Marchionne sono anche No Triv). La ferocia con cui la recessione ha spazzato via migliaia di imprese e centinaia di migliaia di lavoratori, insieme all’affermazione di ideologie della decrescita, ha diffuso l’idea che al sud non ci sia spazio per l’industria. Pomigliano e Melfi, insieme a tante altre imprese meridionali dinamiche e competitive, testimoniano che non è così.