Bolloré di lotta e referendum. Vincent diviso tra cuore e ragione
L’espansionismo transalpino è a bagnomaria. Cosa serve per uscire dallo stallo. Parla Tarak Ben Ammar, produttore che in Italia cura numerosi affari diretti e per conto di Bollò
Roma. “Lei come voterebbe al referendum?”. “Intanto non lo so, non sono italiano e non mi permetto di dare consigli a differenza dal Financial Times”. Tarak Ben Ammar risponde a Gianni Minoli, nel faccia a faccia su La7 del 27 novembre, con l’abilità diplomatica del figlio di un ambasciatore, ma anche come uomo che conosce l’Italia dove ha studiato e dove cura numerosi affari diretti (tra l’altro ha coprodotto la fiction “I Medici”) e per conto di Vincent Bolloré. Ma davvero non saprebbe come votare? Il suo scenario ideale è un nuovo Nazareno o se vogliamo il ritorno al dialogo costruttivo tra Matteo Renzi che nell’insieme gli piace e il suo vecchio amico Silvio Berlusconi il quale ha deciso di rientrare in gioco su tutti i fronti. Spera, così, che vengano appianati i conflitti (arrivati nell’anticamera dei giudici) tra Vivendi e Mediaset per il controllo di Premium, ma soprattutto tra Telecom, del quale è consigliere di amministrazione, e l’Enel sulla banda ultralarga: “Il governo non dovrebbe mai mettere le aziende l’una contro l’altra – ammonisce – Siamo tutti dei nani rispetto ai colossi americani del web e delle telecomunicazioni”. Questo è Ben Ammar il quale si è costruito in tanti anni un profilo di pacificatore che olia gli ingranaggi quando il motore comincia a ingripparsi. Tuttavia il produttore tunisino (e anche un po’ francese e un po’ italiano), non è Bolloré, quindi è scorretto tirare qualsiasi conclusione. Anche se Tarak ha accompagnato il suo partner fin dall’inizio della cavalcata nella finanza milanese con l’ingresso in Mediobanca, quindici anni or sono, Bollò (come lo chiama chi gli sta vicino) non è uomo da farsi portare per mano e tanto meno da farsi imporre chi sostenere e chi avversare domenica 4 dicembre.
Con i potenti, il terzo patrimonio di Francia è in grado di trattare in prima persona e con Renzi ha cercato di negoziare quando si è impadronito del pacchetto di controllo di Telecom. Sperava che scattasse una buona chimica, ma non c’è stato feeling e il capo del governo, temendo un espansionismo eccessivo, ha messo in campo l’Enel. Una mossa del cavallo, sia pur all’insegna della concorrenza.
La rottura vera e propria si è consumata quando Bolloré, in quanto azionista di riferimento di Vivendi, ha cambiato il top management. Renzi sperava che al posto di Marco Patuano andasse Maximo Ibarra, numero uno di Wind: sarebbe stato un pegno di pace. Invece è stato scelto Flavio Cattaneo che viene da un altro mondo, quello della destra milanese: un gesto di sfida, secondo Palazzo Chigi. Bolloré ha inviato un sms a Renzi proponendo di presentargli Cattaneo. Risposta: “No grazie, l’ho già conosciuto leggendo i giornali”. Così l’ascia di guerra è ripresa a mulinare nelle mani dei duellanti. Pochi giorni dopo, ai primi di aprile, il presidente del Consiglio ha annunciato di mettere a disposizione 2,5 miliardi entro il 2022, affidando all’Enel il compito di portare la fibra ottica nelle case degli italiani. Da quel momento in poi è calato il gelo, mentre Palazzo Chigi osservava con sempre maggiore preoccupazione le mosse di Bolloré in tutti i campi, dalla finanza ai media. Anche sulla contesa per Premium, Renzi si è dichiarato a favore di Mediaset che già Massimo D’Alema aveva considerato “un patrimonio degli italiani”.
Avere contro il governo non è una situazione comoda per nessuno, tanto meno per Bolloré. L’imprenditore bretone è il secondo azionista di Mediobanca dopo Unicredit, ma vorrebbe crescere e usare la sua influenza per giocare da protagonista le partite decisive per gli equilibri di potere nella finanza del nord. Bolloré cerca innanzitutto di tutelare i propri affari e finora la campagna d’Italia gli è costata pesanti perdite (1,3 miliardi solo con Telecom). Ora intende diventare l’artefice di nuovi processi di aggregazione il più importante dei quali sarebbe il matrimonio tra Generali e Axa. Ma tutto questo ha bisogno di un governo se non amico quanto meno neutrale. Pochi ricordano, tra l’altro, che la legge bancaria prevede l’autorizzazione della Banca d’Italia e del presidente del Consiglio nel caso in cui un soggetto estero superasse il 10 per cento delle azioni di una banca italiana. Insomma, una sorta di golden share indiretta. Quanto alle Generali, esiste di fatto un nocciolo duro nazionale: Mediobanca che possiede il 13 per cento e i maggiori soci italiani (Del Vecchio, Caltagirone, De Agostini) possono contare su un quinto delle azioni; anche se non legato da un patto di sindacato, potrebbe bastare per fare argine a una scalata ostile. E l’attuale gruppo dirigente in piazzetta Cuccia ha già fatto sapere che non si tirerebbe indietro, nonostante l’importante presenza di Bolloré.
Al punto in cui siamo arrivati, dunque, l’espansionismo transalpino è a bagnomaria. Per uscire dallo stallo, la strada sarebbe un appeasement con Mediaset ed è quello che Ben Ammar auspica grazie al ritorno a tutto campo di Berlusconi definito “un uomo saggio e per questo uomo di pace”. Lui si è candidato a lungo come mediatore, ma solo un incontro faccia a faccia tra Silvio e Vincent potrebbe davvero sbloccare la situazione. Se si trova un accordo per Premium che non turbi gli equilibri di fondo, si può rimettere in moto l’intera catena degli affari. Una soluzione possibile prevede di chiamare in campo Telecom e altri partner, per alleggerire il costo dell’operazione, ma anche per offrire sbocchi ai contenuti. Un’operazione che coinvolge soggetti diversi è più complessa e per questo occorre che l’Italia non precipiti di nuovo in preda alle fibrillazioni di una campagna elettorale permanente. Dunque, anche se l’orgoglio e la passione inducono Bolloré a favorire il no, la ragione può spingerlo verso il sì al referendum. Ecco perché sia Tarak sia Bollò non sanno con certezza che cosa augurarsi. Mentre Ben Ammar si chiede quale risultato favorirà un nuovo Nazareno, Bolloré sa che un Renzi trionfante non aiuta le sue mire, ma un paese ingovernabile è peggio per tutti.