(foto LaPresse)

Il fondatore della Casaleggio & C. contro la democrazia diretta

Alberto Brambilla

La deriva referendaria è un guaio per l’economia. Intervista a Sassoon sul rapporto Harvard Business Review

Roma. Tredici anni sono un istante nella storia plurimillenaria del pianeta e dell’umanità. Eppure è in questi anni di drammatici mutamenti in cui il mondo si sta leccando le ferite di una crisi economica epocale durante la quale, paradossalmente, viene percorso da poderosi stimoli tecnologici che promettono di trasformare le abitudini della moltitudine dei suoi abitanti. Con lo scopo di decifrare le tendenze generali di questo cambiamento in fieri la Harvard Business Review Italia (Hbr) insieme all’associazione The Ruling Companies, che unisce 120 imprese italiane e straniere operanti in Italia, ha lavorato negli ultimi due anni al progetto Macrotrends presentato in questi giorni a Milano con il primo rapporto “Orizzonte 2030” coordinato da Enrico Sassoon, direttore responsabile di Harvard Business Review e già amministratore delegato della American chamber of commerce quando contribuì a fondare la Casaleggio Associati dalla quale poi uscì in polemica una volta divenuto il centro di comando del Movimento 5 stelle. Come dichiara nel rapporto, Sassoon respinge la teoria della “stagnazione secolare”, elaborata da Alvin Hansen dopo la Grande depressione e ripresa con una certa fortuna dopo la crisi del 2008 da importanti economisti come Larry Summers.

La visione secondo cui il mondo è destinato alla stagnazione economica è opposta a quella dell’“ottimismo tecnologico” che è invece il sottofondo del rapporto di Hbr. “Stiamo entrando in una fase di grande innovazione in cui si stanno combinando grandi tecnologie grazie soprattutto all’opera delle tecnologie digitali che stanno garantendo potenza a tutte le altre”, dice Sassoon parlando con il Foglio. “Ogni giorno osserviamo una miriade di grandi scoperte”. Le diverse applicazioni dell’intelligenza artificiale e dell’interazione uomo-macchina sono i pilastri di quella che Karl Klaus Schwab, fondatore del World economic Forum, considera la quarta rivoluzione industriale, quella delle tecnologie digitali, dopo l’avvento del vapore (la prima), della elettricità (la seconda) e di Internet (la terza). La potenza combinata delle prime tre rivoluzioni ha raggiunto i massimi negli ultimi cinquanta anni in cui la vita media della popolazione mondiale è cresciuta più che nei precedenti centocinquanta – nel complesso durante duecento anni di storia recente l’aspettativa di vita è raddoppiata quasi per l’intera popolazione globale. L’intelligenza artificiale – robot, algoritmi, macchine capaci di imparare e di “immaginare” – è la nuova frontiera della rivoluzione tecnologica che trova applicazione nella mobilità urbana (Uber e i suoi fratelli), nella finanza (la cosiddetta Fintech con la Blockchain, i Bitcoin e altro), nell’automotive (l’auto senza pilota), e così via fino alle applicazioni mediche (la robotica applicata alla chirurgia) ecc. “Siamo pienamente dentro a questa rivoluzione – dice Sassoon – se oggi ci sono persone che possono muovere le mani con una protesi robotizzata è grazie a tutto questo. Abbiamo davanti agli occhi la prospettiva di quello che si può avverare”.

 

Tuttavia guardando alla ritirata strategica da piani di investimento futuristici – basti pensare al progetto della iCar della Apple prima annunciato e poi rimesso in garage – sembra che in questo preciso momento storico cresca la sensazione di trovarsi esattamente nel mezzo tra la fase massima dell’Hype cicle, un modello previsionale costruito anni fa dal Gartner Group, in cui una certa tecnologia dopo una crescita vorticosa, sostenuta da una grande e diffusa illusione, attraversa una fase di disillusione durante la quale si moltiplicano le “cattive notizie” e si riducono gli investimenti. Ma poi – come accadde con l’elettricità nella celebre battaglia Nikola Tesla contro Thomas Edison – si elabora il lutto e la tecnologia torna a crescere normalmente. Ma è così pacifico che si arrivi a una diffusione delle nuove tecnologie senza ostacoli da parte di altri attori istituzionali visto che il mercato non è affatto libero da vincoli? I regolatori di settore e quelli globali sono particolarmente critici per esempio verso Uber o la driverless car; le autorità politiche osteggiano i cosiddetti “disruptor” che promettono di eliminare alcune corporazioni e le relative rendite di posizione; la robotica è vista con sospetto dalle centrali sindacali perché, come spesso accade con le innovazioni, si teme una conseguente perdita drastica di posti di lavoro.

“Ovviamente non siamo dei tecno-entusiasti, ci sono degli effetti indesiderati delle nuove tecnologie che vanno mitigati. Dopodiché la politica, i regolatori, i sindacati possono avere un effetto ritardante che va a moderare l’effetto positivo di una nuova tecnologia. Ma non è detto, può accadere il contrario, perché non tutto avviene in maniera indifferenziata”, dice Sassoon che prende a esempio l’editoria per fare notare come l’industria dell’intrattenimento sia oramai mista e viva di tecnologie digitali mentre fino a vent’anni orsono era soltanto analogica. “Ci sono settori economici, penso all’auto e al commercio, che tra dieci anni saranno irriconoscibili”, aggiunge. Con una vasta gamma di prodotti in vendita che soddisfano un ventaglio di bisogni funzionali (risparmio di tempo, riduzione costi, informazione), emozionali (riduzione dell’ansia, attrattività, benessere) o di life changing (speranza, motivazione, appartenenza) esiste parallelamente la possibilità di scegliere in modo praticamente perfetto cosa acquistare (per prezzo e necessità) – qualcosa di molto vicino alla democrazia (o populismo) di mercato teorizzato dallo storico Thomas Frank. “Oggi ognuno di noi – dice Sassoon – ha in mano una potenza decisionale e una capacità di decidere che prima era utopia e ora invece è pratica”.

La politica tra cacofonia e oclocrazia

Nel rapporto, per la parte dedicata alla geopolitica, si parla anche di “cacofonia” del potere, nel senso di una tendenza dei leader a ripetere le stesse cose mentre cresce la vox populi attraverso plurime consultazioni referendarie, ovvero l’anticamera della oclocrazia (óchlos, moltitudine, e kratía, potere), quando lo stato è in balìa della voluttà delle masse. Perché è un rischio? Sassoon contribuì a fondare il movimento capeggiato da Grillo, che, tra gli altri, ha fatto campagna per il No al recente referendum costituzionale. Secondo Sassoon “la nuova ondata di populismo ha delle caratteristiche che sollevano una certa preoccupazione: l’approccio referendario va usato con cautela. La democrazia diretta – aggiunge – è bella come concetto ma viviamo in una democrazia rappresentativa e dovremmo affidare ai leader le scelte più complesse. Per evitare la cacofonia non possiamo avallare un uso del referendum così ampio come alcuni propongono”. 

           

Il Hype Cycle di Gartner nel 2016 e la crescita del pil reale nel mondo, 1988 - 2021 (variazione % media annua)

  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.